A PROPOSITO DI FAME…tre fronti 25.11.2007
La Medaglia miracolosa, padre Pio e la Colletta del Banco alimentare…
FAME DI MISERICORDIA
Il 27 novembre è la festa della Medaglia Miracolosa. La Madonna, apparendo a Rue du Bac, si mostrò con dei bellissimi anelli alle mani. Alcuni splendenti, altri no. E spiegò che quelli che non risplendevano simboleggiavano le grazie che lei era pronta a dare e che non le venivano chieste… Ricordo che martedì 27 novembre, all’ora dell’apparizione, si può recitare la Supplica per le nostre personali necessità e per le intenzioni del Papa… Il testo e tutte le informazioni sono riportate in questo sito (andate nell’Archivio delle Newsletter, alla pagina 3, alla news intitolata: “Ecco l’oceano di grazie pronte per noi, ma che noi non chiediamo”).
FAME DI VERITA’
Presentando in giro e in televisione il mio libro “Il segreto di padre Pio” mi sono reso conto che le recenti polemiche giornalistiche contro padre Pio hanno lasciato una ferita drammatica e profonda nel popolo buono e semplice che ama il santo di Pietrelcina, che è un popolo assai vasto. D’altra parte è in corso a vasto raggio una battaglia per sradicare dal cuore della nostra gente la fede cristiana. Penso che dobbiamo farci in quattro per impedirlo. Chiederei a ciascuno, nel suo piccolo, di fare il possibile. Pregando, ma anche sapendo dare ragione della nostra fede e della nostra speranza. E anche difendendo i nostri santi (quindi anche informandosi e facendo diventare cultura la fede cristiana)
FAME DI PANE
Da “Libero” 24 novembre 2007
Se oggi si presentassero 100 mila persone (ma davvero centomila, contate!) alla selezione per il Grande Fratello o a fare qualche “girotondo” (centomila persone non organizzate da partiti o sindacati), su giornali e tv avremmo un diluvio di dichiarazioni, di riflessioni, editoriali, servizi giornalistici. Gli esperti decreterebbero l’emergere di un mondo sommerso o il riemergere della “società civile”.
Ma non accadrà così per più di 100 mila persone che oggi – anziché mettersi in fila per apparire in tv o scendere in piazza per manifestare - si mobiliteranno per il “Banco alimentare”. E’ gente comune, giovani studenti, padri e madri, nonni e nipoti. Andrò anch’io – e porterò mio figlio – fra quelle 100 mila persone che non gridano, non si esibiscono e non fanno chiacchiere, ma volontariamente e silenziosamente regaleranno questo sabato agli affamati. Li troverete davanti a 6.800 supermercati d’Italia per la Giornata del Banco Alimentare.
Attenzione: parlo degli affamati che sono fra noi, che non sono pochi. Questa “giornata” in cui andando al supermercato facciamo la spesa anche per qualche indigente sta entrando nelle nostre migliori abitudini. Ed è molto bello, viene fuori il cuore grande della nostra gente. Anno scorso gli italiani hanno donato cibo per un valore superiore a 26 milioni di euro. E con le 8.422 tonnellate di alimenti raccolti sono stati aiutate 1 milione e 385 mila persone che fanno fatica a mettere insieme il pranzo e la cena.
Non c’è da stupirsi purtroppo di questi numeri. I dati Istat parlano di un 13 per cento della popolazione italiana che vive in povertà. Uno scandalo. Certo poi dovremmo distinguere fra povertà relativa e povertà assoluta, ma lasciamo la materia agli esperti: quando scopriamo che la metà delle famiglie italiane (ripeto: la metà) vive con meno di 1.800 euro al mese ci vuole poco a capire che – se ci sono 2-3 figli e si vive in una grande città - alla fine del mese non si arriva.
Alle mense della Caritas e delle altre opere di solidarietà (sono 8.100 quelle convenzionate con il Banco alimentare) da anni riferiscono che a presentarsi lì sono sempre più spesso italiani normali: non solo, dunque, mendicanti, extracomunitari o marginali, ma anche pensionati, famiglie monoreddito, cittadini comuni che pagano salatamente, sulla loro pelle, soprattutto il “geniale” avvento dell’euro nelle modalità disastrose volute dalla tecnocrazia europea (il cui “campione”, da Bruxelles, abbiamo portato a Palazzo Chigi).
Naturalmente non è solo colpa dell’euro. Né è solo un fenomeno italiano. Povertà e marginalità persistono pure nei Paesi più avanzati. Si calcola che siano circa 9 milioni e 300 mila le persone che soffrono la fame nei Paesi industrializzati. Tanti. Eppure pochissimi a confronto della cifra planetaria degli affamati: 854 milioni di esseri umani. Che nell’anno 2007, sul pianeta Terra che produce abbastanza per tutti, un essere umano su otto muoia di fame, è uno scandalo che dovrebbe toglierci il sonno e far nascere mille iniziative di aiuto.
Invece produce conferenze, simposi e discorsi. Come la 34° Sessione della Conferenza generale delle Nazioni Unite per l’alimentazione (Fao) che si tiene proprio in questi giorni. Che ancora una volta si troverà a constatare la propria impotenza. Denuncerà l’insensibilità degli Stati che venti anni fa firmarono l’impegno a sradicare la fame, i quali però obiettano che l’immenso fiume dei nostri aiuti – consegnato ai governi – finisce spesso ad ingrassare despoti anziché aiutare lo sviluppo. Contrariamente alle teorie neomalthusiane la fame non dipende affatto dalla crescita della popolazione mondiale (ormai sotto controllo, diversamente da quanto si ostina a credere Giovanni Sartori). Sul pianeta abbiamo cibo sufficiente per tutti. Basti dire che dal 1960 al 1997 la produzione mondiale di cibo è tanto aumentata che, pur essendo quasi raddoppiata la popolazione, ogni essere umano oggi ha a disposizione il 24 per cento di cibo in più di quanto aveva nel 1960 (con una diminuzione del 40 per cento dei prezzi dei prodotti agricoli).
Il problema è che la produzione di cibo aumenta nei Paesi evoluti e non in quelli sottosviluppati. E non per colpa dei Paesi occidentali, che poi sono i soli che aiutano i popoli disperati (i regimi comunisti hanno sempre esportato solo fame, dittature e guerre, mai cibo). Secondo un economista se il sistema occidentale dovesse collassare, l’intero continente africano scomparirebbe per fame visto che ben il 30 per cento del cibo che lì si consuma è importato.
L’Occidente ha le sue colpe, ma il sistema occidentale produce cibo in abbondanza. Solo certi noglobal credono che la ricchezza sia una quantità data che bisogna solo spartirsi equamente, come un frutto che cresce spontaneamente sulle piante. La ricchezza è invece un insieme di beni che prima bisogna produrre. Ma perché ciò avvenga ci vogliono tre premesse che padre Piero Gheddo, il simbolo dei missionari italiani, ha così sintetizzato: l’istruzione, la democrazia e la tecnologia. L’esempio che padre Gheddo indica è l’India che un tempo era il Paese simbolo della fame (nella carestia del 1966 morirono 6-7 milioni di persone) e oggi è addirittura un Paese esportatore di riso e grano.
Invece l’Africa sprofonda. Lì gli aiuti senza sviluppo sono un fallimento. Però la rete missionaria di solidarietà della Chiesa, che ha progetti mirati e dà la certezza della destinazione, rappresenta un aiuto allo sviluppo davvero efficace. Anche perché le missioni e le opere cattoliche portano istruzione e modernizzazione (seminando il germe dei diritti della persona, da cui nasce anche la democrazia), ingredienti insostituibili dello sviluppo.
Pure il Banco alimentare, che si rivolge all’Italia, è efficace proprio perché è fondato su una ramificata presenza di opere sociali. Ciò che gli economisti chiamano “sussidiarietà”: la società sa fare, anche nella solidarietà, meglio dello Stato. Bisognerebbe che lo Stato lo riconoscesse (come in teoria fa il Trattato di Maastricht), in tutti i campi (anche educativo) e facesse derivare da questo un’adeguata politica fiscale. Ma il governo attuale, per dire, fa il contrario: spenna sempre più accanitamente i contribuenti e sperpera il patrimonio senza neanche saper garantire solidarietà e sicurezza sociale (ce n' è sempre meno). Poi magari critica pure la Chiesa per le sue “ingerenze”, senza accorgersi che è grazie all’ “ingerenza” della Chiesa che tanti bisogni e sofferenze vengono alleviate.
La stessa Giornata del Banco alimentare è sostenuta perlopiù dal volontariato cattolico. Ed è nata dal cuore e dalla mente di un grande maestro di cristianesimo come don Luigi Giussani, quando, nel 1989, incontrò il fondatore della Star, Danilo Fossati e si sentì spiegare da lui quanti alimenti andavano sprecati fra rese e sovraproduzione. A chi ha avuto la fortuna di conoscere don Gius – nato e cresciuto nella Brianza povera, umile e cristiana d’inizio secolo - sembra di vedere la sua reazione immediata, con quel suo impeto di carità e quella costruttività tutta lombarda.
Questa carità cristiana sa che c’è pure un’altra fame, ancor più insaziabile e che ci riguarda tutti. La fame di senso della vita, di bellezza e di amore. Infatti la “Giornata” di quest’anno propone un pensiero bellissimo preso da un capolavoro del cinema russo e cristiano, quell’ “Andrej Rublev” che Tarkowskij dedicò al grande pittore di icone trecentesco. Dice così: “Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco, non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato ad un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.
Antonio Socci
La Medaglia miracolosa, padre Pio e la Colletta del Banco alimentare…
FAME DI MISERICORDIA
Il 27 novembre è la festa della Medaglia Miracolosa. La Madonna, apparendo a Rue du Bac, si mostrò con dei bellissimi anelli alle mani. Alcuni splendenti, altri no. E spiegò che quelli che non risplendevano simboleggiavano le grazie che lei era pronta a dare e che non le venivano chieste… Ricordo che martedì 27 novembre, all’ora dell’apparizione, si può recitare la Supplica per le nostre personali necessità e per le intenzioni del Papa… Il testo e tutte le informazioni sono riportate in questo sito (andate nell’Archivio delle Newsletter, alla pagina 3, alla news intitolata: “Ecco l’oceano di grazie pronte per noi, ma che noi non chiediamo”).
FAME DI VERITA’
Presentando in giro e in televisione il mio libro “Il segreto di padre Pio” mi sono reso conto che le recenti polemiche giornalistiche contro padre Pio hanno lasciato una ferita drammatica e profonda nel popolo buono e semplice che ama il santo di Pietrelcina, che è un popolo assai vasto. D’altra parte è in corso a vasto raggio una battaglia per sradicare dal cuore della nostra gente la fede cristiana. Penso che dobbiamo farci in quattro per impedirlo. Chiederei a ciascuno, nel suo piccolo, di fare il possibile. Pregando, ma anche sapendo dare ragione della nostra fede e della nostra speranza. E anche difendendo i nostri santi (quindi anche informandosi e facendo diventare cultura la fede cristiana)
FAME DI PANE
Da “Libero” 24 novembre 2007
Se oggi si presentassero 100 mila persone (ma davvero centomila, contate!) alla selezione per il Grande Fratello o a fare qualche “girotondo” (centomila persone non organizzate da partiti o sindacati), su giornali e tv avremmo un diluvio di dichiarazioni, di riflessioni, editoriali, servizi giornalistici. Gli esperti decreterebbero l’emergere di un mondo sommerso o il riemergere della “società civile”.
Ma non accadrà così per più di 100 mila persone che oggi – anziché mettersi in fila per apparire in tv o scendere in piazza per manifestare - si mobiliteranno per il “Banco alimentare”. E’ gente comune, giovani studenti, padri e madri, nonni e nipoti. Andrò anch’io – e porterò mio figlio – fra quelle 100 mila persone che non gridano, non si esibiscono e non fanno chiacchiere, ma volontariamente e silenziosamente regaleranno questo sabato agli affamati. Li troverete davanti a 6.800 supermercati d’Italia per la Giornata del Banco Alimentare.
Attenzione: parlo degli affamati che sono fra noi, che non sono pochi. Questa “giornata” in cui andando al supermercato facciamo la spesa anche per qualche indigente sta entrando nelle nostre migliori abitudini. Ed è molto bello, viene fuori il cuore grande della nostra gente. Anno scorso gli italiani hanno donato cibo per un valore superiore a 26 milioni di euro. E con le 8.422 tonnellate di alimenti raccolti sono stati aiutate 1 milione e 385 mila persone che fanno fatica a mettere insieme il pranzo e la cena.
Non c’è da stupirsi purtroppo di questi numeri. I dati Istat parlano di un 13 per cento della popolazione italiana che vive in povertà. Uno scandalo. Certo poi dovremmo distinguere fra povertà relativa e povertà assoluta, ma lasciamo la materia agli esperti: quando scopriamo che la metà delle famiglie italiane (ripeto: la metà) vive con meno di 1.800 euro al mese ci vuole poco a capire che – se ci sono 2-3 figli e si vive in una grande città - alla fine del mese non si arriva.
Alle mense della Caritas e delle altre opere di solidarietà (sono 8.100 quelle convenzionate con il Banco alimentare) da anni riferiscono che a presentarsi lì sono sempre più spesso italiani normali: non solo, dunque, mendicanti, extracomunitari o marginali, ma anche pensionati, famiglie monoreddito, cittadini comuni che pagano salatamente, sulla loro pelle, soprattutto il “geniale” avvento dell’euro nelle modalità disastrose volute dalla tecnocrazia europea (il cui “campione”, da Bruxelles, abbiamo portato a Palazzo Chigi).
Naturalmente non è solo colpa dell’euro. Né è solo un fenomeno italiano. Povertà e marginalità persistono pure nei Paesi più avanzati. Si calcola che siano circa 9 milioni e 300 mila le persone che soffrono la fame nei Paesi industrializzati. Tanti. Eppure pochissimi a confronto della cifra planetaria degli affamati: 854 milioni di esseri umani. Che nell’anno 2007, sul pianeta Terra che produce abbastanza per tutti, un essere umano su otto muoia di fame, è uno scandalo che dovrebbe toglierci il sonno e far nascere mille iniziative di aiuto.
Invece produce conferenze, simposi e discorsi. Come la 34° Sessione della Conferenza generale delle Nazioni Unite per l’alimentazione (Fao) che si tiene proprio in questi giorni. Che ancora una volta si troverà a constatare la propria impotenza. Denuncerà l’insensibilità degli Stati che venti anni fa firmarono l’impegno a sradicare la fame, i quali però obiettano che l’immenso fiume dei nostri aiuti – consegnato ai governi – finisce spesso ad ingrassare despoti anziché aiutare lo sviluppo. Contrariamente alle teorie neomalthusiane la fame non dipende affatto dalla crescita della popolazione mondiale (ormai sotto controllo, diversamente da quanto si ostina a credere Giovanni Sartori). Sul pianeta abbiamo cibo sufficiente per tutti. Basti dire che dal 1960 al 1997 la produzione mondiale di cibo è tanto aumentata che, pur essendo quasi raddoppiata la popolazione, ogni essere umano oggi ha a disposizione il 24 per cento di cibo in più di quanto aveva nel 1960 (con una diminuzione del 40 per cento dei prezzi dei prodotti agricoli).
Il problema è che la produzione di cibo aumenta nei Paesi evoluti e non in quelli sottosviluppati. E non per colpa dei Paesi occidentali, che poi sono i soli che aiutano i popoli disperati (i regimi comunisti hanno sempre esportato solo fame, dittature e guerre, mai cibo). Secondo un economista se il sistema occidentale dovesse collassare, l’intero continente africano scomparirebbe per fame visto che ben il 30 per cento del cibo che lì si consuma è importato.
L’Occidente ha le sue colpe, ma il sistema occidentale produce cibo in abbondanza. Solo certi noglobal credono che la ricchezza sia una quantità data che bisogna solo spartirsi equamente, come un frutto che cresce spontaneamente sulle piante. La ricchezza è invece un insieme di beni che prima bisogna produrre. Ma perché ciò avvenga ci vogliono tre premesse che padre Piero Gheddo, il simbolo dei missionari italiani, ha così sintetizzato: l’istruzione, la democrazia e la tecnologia. L’esempio che padre Gheddo indica è l’India che un tempo era il Paese simbolo della fame (nella carestia del 1966 morirono 6-7 milioni di persone) e oggi è addirittura un Paese esportatore di riso e grano.
Invece l’Africa sprofonda. Lì gli aiuti senza sviluppo sono un fallimento. Però la rete missionaria di solidarietà della Chiesa, che ha progetti mirati e dà la certezza della destinazione, rappresenta un aiuto allo sviluppo davvero efficace. Anche perché le missioni e le opere cattoliche portano istruzione e modernizzazione (seminando il germe dei diritti della persona, da cui nasce anche la democrazia), ingredienti insostituibili dello sviluppo.
Pure il Banco alimentare, che si rivolge all’Italia, è efficace proprio perché è fondato su una ramificata presenza di opere sociali. Ciò che gli economisti chiamano “sussidiarietà”: la società sa fare, anche nella solidarietà, meglio dello Stato. Bisognerebbe che lo Stato lo riconoscesse (come in teoria fa il Trattato di Maastricht), in tutti i campi (anche educativo) e facesse derivare da questo un’adeguata politica fiscale. Ma il governo attuale, per dire, fa il contrario: spenna sempre più accanitamente i contribuenti e sperpera il patrimonio senza neanche saper garantire solidarietà e sicurezza sociale (ce n' è sempre meno). Poi magari critica pure la Chiesa per le sue “ingerenze”, senza accorgersi che è grazie all’ “ingerenza” della Chiesa che tanti bisogni e sofferenze vengono alleviate.
La stessa Giornata del Banco alimentare è sostenuta perlopiù dal volontariato cattolico. Ed è nata dal cuore e dalla mente di un grande maestro di cristianesimo come don Luigi Giussani, quando, nel 1989, incontrò il fondatore della Star, Danilo Fossati e si sentì spiegare da lui quanti alimenti andavano sprecati fra rese e sovraproduzione. A chi ha avuto la fortuna di conoscere don Gius – nato e cresciuto nella Brianza povera, umile e cristiana d’inizio secolo - sembra di vedere la sua reazione immediata, con quel suo impeto di carità e quella costruttività tutta lombarda.
Questa carità cristiana sa che c’è pure un’altra fame, ancor più insaziabile e che ci riguarda tutti. La fame di senso della vita, di bellezza e di amore. Infatti la “Giornata” di quest’anno propone un pensiero bellissimo preso da un capolavoro del cinema russo e cristiano, quell’ “Andrej Rublev” che Tarkowskij dedicò al grande pittore di icone trecentesco. Dice così: “Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco, non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato ad un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.
Antonio Socci