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IL DONO DI UNA VITA

Fraternità sacerdotale dei missionari di san Carlo Borromeo

Lettera dalla frontiera, di Massimo Camisasca
1 marzo 2006

In occasione del primo anniversario della morte di don Luigi Giussani, vi proponiamo l’intervista di don Massimo Camisasca a Famiglia Cristiana.

IL DONO DI UNA VITA (da Famiglia Cristiana, n. 9, 26 febbraio 2006)
di Alfredo Tradigo

Un anno fa, il 22 febbraio, moriva don Luigi Giussani, il prete brianzolo col sigaro e il basco, fondatore di Comunione e liberazione. Abbiamo chiesto a don Massimo Camisasca, uno dei "ragazzi del don Gius" al liceo classico Berchet, divenuto poi tra i suoi più stretti collaboratori (oggi è superiore generale della Fraternità sacerdotale Missionari di san Carlo), di parlarci dell’uomo che ha così profondamente segnato la sua vita.
• Don Camisasca, cosa ricorda di quel 24 febbraio a Milano, in Duomo e nella piazza stracolma di folla, quando il cardinale Ratzinger nell’omelia funebre stupì tutti per l’accento di amicizia sincera e fraterna che dimostrò verso don Giussani?
"Commentavo la cerimonia per la televisione italiana. Mi accorsi che tutti, compresi i cronisti, erano certi di partecipare a qualcosa di assolutamente particolare: nel Duomo di Milano era raccolto un popolo composto da decine di migliaia di persone che salutavano il proprio padre scomparso, verso cui quasi tutti avevano ricordi e legami personali. Conservo una memoria di grande, intensa commozione, di gratitudine a Dio e a don Giussani, di confidente speranza".
• In quell’omelia il cardinale, che due mesi dopo sarebbe divenuto papa Benedetto XVI, parlò di don Giussani come di un uomo "ferito dalla bellezza": ci parli della personalità di don Giussani e del suo carisma
...

"Don Giussani era un uomo straordinariamente ricco di doti. Poteva colpire per la sua parola, per la profondità dei suoi giudizi, per la sua conoscenza del cuore dell’uomo; oppure per come recitava una poesia, per come svelava i segreti nascosti di un brano musicale, per come ci trasportava nel tempo di Gesù facendoci immedesimare con il suo vissuto. È stato un grande educatore. Forse questa è la cifra segreta più riassuntiva della sua personalità. Un uomo ferito dall’umanità di Cristo e desideroso di vivere quella ferita e quella scoperta con chi incontrava, in aereo come a lezione o in autogrill. Ma soprattutto un uomo che ha vissuto in modo straordinariamente intenso la propria vita quotidiana".
• Lei ha organizzato, ed è stato presente, a Roma gli incontri tra don Luigi Giussani e il cardinale Joseph Ratzinger: ogni quanto avvenivano, dove e come si svolgevano?
"Alle Cappellette di San Luigi, vicino a Santa Maria Maggiore, dove allora abitavo insieme a don Angelo Scola. Erano cene, una, due volte all’anno, per una serie di anni. Il tempo passava tutto in un fitto dialogo tra Ratzinger e Giussani, cui assistevamo anche don Angelo e io, che ero quello che parlava di meno. Ascoltavo. Ratzinger si informava degli sviluppi del movimento, Giussani chiedeva al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede la conferma o meno delle sue posizioni; e trovava sempre un’incoraggiante spinta".
• Ci parli dell’amicizia tra papa Wojtyla e "don Gius", degli incontri e dei colloqui tra i due...
"Occorrerebbe un libro. Il terzo volume della storia di Cl che uscirà il prossimo 10 marzo (edizioni San Paolo) è prevalentemente dedicato all’incontro tra queste due grandi personalità. Posso dire solo questo: Wojtyla apprezzava in Giussani, tra l’altro, la forza creativa e la passione educativa. Il fondatore di Cl era impressionato nel vedere ai vertici della Chiesa un Papa così uomo, così fuori da ogni schema clericale, così desideroso di promuovere nella Chiesa comunità e persone fino ad allora sacrificate, tenute ai margini. Wojtyla arrivò a dire parlando ai ciellini: "Il mio modo di vedere le cose è simile al vostro, anzi è lo stesso". Una volta gli scappò un "noi ciellini" che non era una battuta".
• Su Giussani e il suo movimento non sono mancate critiche e ostilità anche all’interno della Chiesa; oggi, a un anno dalla morte del fondatore, certe tensioni sembrano superate ed è come se questa morte e quella di Giovanni Paolo II abbiano dato frutti sorprendenti. Si apre una stagione nuova per la Chiesa?
"Una stagione nuova fu certamente inaugurata da Giussani. Che essa prosegua e si approfondisca dipende dalla verità con cui vivrà ciascuno di coloro che lo seguono e, in ultima analisi, dallo Spirito che guida la Chiesa".
• Don Giussani ha sempre dichiarato di non aver mai voluto fondare alcun movimento. Cos’è allora Cl e in che cosa è consistito il riconoscimento pontificio, avvenuto nel 1982, che è il tema centrale del suo libro?
"Don Giussani non ha voluto indicare un percorso particolare, bensì ridare fascino alla strada di sempre: la Tradizione. Facendo questo ha visto nascere intorno a sé un popolo che viveva il cristianesimo secondo l’accento di riforma portato da lui. La Chiesa, dopo non poche battaglie, ha riconosciuto che l’opera di don Giussani è veramente ecclesiale. È nato così un movimento. Ciò che Giussani voleva sottolineare è la totale relatività di esso all’evento ecclesiale".
• Don Camisasca, lei ha la responsabilità di guidare a Roma uno dei tanti frutti nati dal carisma di "don Gius", la Fraternità sacerdotale Missionari di san Carlo, seminario di giovani missionari. Cosa significa per voi essere per la Chiesa e aderire al carisma del fondatore? Cosa significa essere per il mondo i nuovi evangelizzatori?
"Non ho mai sentito, neppure per un istante, né differenze né tanto meno discrasia tra il seguire don Giussani e il seguire la Chiesa. I preti della nostra Fraternità non sono i cappellani di Cl, devono parlare a tutti, nelle strutture ordinarie della Chiesa, anche se, certo, con il nostro accento. Si è evangelizzatori quando si è sperimentato l’immenso, travolgente amore di Gesù per la nostra scalcinata umanità. Egli ama me peccatore. Qui non c’è veramente distinzione tra l’agape e l’eros. La sete di Gesù diventa la nostra stessa sete".
• È di questi giorni la notizia che don Giussani è stato riconosciuto co-fondatore dell’istituto delle Suore di Carità di padre Stefano Pernet; del resto sono tantissime le realtà nate da un uomo come lui, che ha sempre voluto valorizzare ciò che incontrava nel mondo. Ci spieghi il suo metodo...
"Don Giussani è un albero che darà tanti frutti nuovi nel futuro. Ogni persona che lo segue – perché legge un suo libro, si imbatte in una sua comunità, oppure in un ciellino che magari gli lavora accanto – è un frutto del frutteto coltivato dal "Gius". Penso che nel solco inaugurato da don Giussani nasceranno in futuro nuove forme espressive culturali, caritative, sociali. Certo, non dobbiamo programmare niente. Solo guardare, accompagnare, ringraziare".
• Cos’è la Fraternità di Cl? E i "Memores Domini"?
"La Fraternità è un’associazione di fedeli che conta ora più di 50.000 membri in 70 Paesi che hanno liberamente riconosciuto nel cammino ecclesiale di Cl la forma desiderata della loro vita. È il livello adulto, maturo, generativo del movimento. I "Memores Domini" sono laici dedicati a Dio nell’obbedienza, povertà e castità. Vivono perlopiù in piccole case e svolgono i più svariati lavori, come gli uomini e le donne di tutto il mondo. A loro don Giussani ha guardato come all’espressione più alta di ciò che lo Spirito aveva suscitato in lui".
• In che cosa è consistita la "svolta" di cui lei parla nel suo libro? È una specie di riforma che don Luigi Giussani fece nel movimento?
"Don Giussani di svolte ne fece fare parecchie ai suoi. Fu un padre che, amando, correggeva. Soprattutto voleva colpire la tentazione continua della inautenticità. Negli anni 1975-1976, per esempio, volle richiamare tutto il movimento alla vera radice che lo rendeva interessante agli occhi degli uomini: non la concorrenza con le risposte degli altri, ma l’originalità della posizione cristiana, quell’essere presenza che nasce dall’abbraccio di quella Presenza che è il Verbo fatto carne".
• Tra le opere nate da Cl, il Meeting di Rimini è oggi forse l’esperienza più vitale e amata: come la vede?
"Io che ho girato quasi tutto il mondo non ho visto da nessuna parte un’opera come il Meeting di Rimini. È la documentazione plastica di esperienze che hanno caratterizzato l’animo di don Giussani: la curiosità a 360°, l’apertura a ogni possibile ipotesi culturale, confrontata con quel fondo di esigenze elementari che Dio ci ha messo dentro, la passione per tutto ciò che è umano, il desiderio di rendere la vita e il mondo più belli perché illuminati da un perché e da un come".
Proprio al Meeting la presenza di alcuni monaci buddhisti conosciuti da don Giussani in Giappone, e che fedelmente vi ritornano ogni anno, dice di un’amicizia profonda; quale fu il punto di contatto con loro?
"I monaci del monte Koya sono stati il segno della sua attenzione alla religiosità che vive negli uomini più veri, a qualunque tradizione appartengano".
• L’esperienza di Cl è diffusa in 70 Paesi del mondo, nei luoghi più lontani e impensati, con uno slancio missionario e una capillarità che sorprendono; lei scrive che le gambe attraverso cui Cl si muove nel mondo sono i sacerdoti della Fraternità di san Carlo, i "Memores Domini" e i volontari laici di Avsi: ci racconti questa dimensione missionaria che lei ha visto crescere nei suoi viaggi…
"La missione non è altro che coinvolgere l’altra persona in una cosa bella che ci è capitata. E questa cosa bella non è un sentimento. Può essere un modo diverso di guardare al lavoro o all’educazione del proprio figlio, al modo di fare una vacanza con gli amici… La missione segue le strade normali degli interessi, degli amori, dei progetti".
• La prima enciclica di Benedetto XVI inizia con un concetto caro a don Giussani, quello di cristianesimo come incontro con un avvenimento: qual è il cuore della Deus caritas est?
"Il cuore dell’enciclica è un annunzio decisivo per il nostro tempo: l’abolizione della divisione tra amore sacro e profano, tra amore carnale e spirituale. Dio si è fatto uno di noi e ci insegna che l’amore carnale, se ben guidato e vissuto, è la scala per arrivare al suo amore che discende verso di noi".
• Nell’appendice del libro, che lei ha affidato al giornalista Roberto Fontolan, sono sintetizzati gli ultimi dieci anni del movimento e l’amicizia nata con don Julian Carron che oggi è il successore di don Giussani: ci racconti come si sviluppò...
"Un gruppo di preti spagnoli animava un movimento di giovani: Nueva Tierra. Essi conobbero dei ciellini spagnoli e i due gruppi si fusero, riconoscendo un’ispirazione comune e una comune discepolanza in don Giussani. Tra quei preti c’era il giovane don Carron, che in questi ultimi anni don Giussani ha scelto come suo successore. Forse lo colpì la sua umiltà, forse il taglio esistenziale del suo parlare. Mi sembra che don Giussani abbia favorito un passaggio di conduzione del movimento senza traumi e con grandi speranze".

Alfredo Tradigo

INEDITO - 15 LUGLIO 1979, DAL DIARIO DI DON MASSIMO CAMISASCA "VI VOGLIO CON ME OGNI "COMPLEMESE"" Abbiamo passato la mattinata col Papa. Eravamo stati con lui la sera del 17 maggio per fargli gli auguri di buon compleanno. Allora, nei giardini vaticani, alla grotta di Lourdes, eravamo circa 2.000: cantammo canti polacchi e canti italiani e ne parlarono L’Osservatore Romano e l’Avvenire. Il Papa ci disse: "Avete voluto giocare col mio punto debole. Il punto debole del Papa è il canto. Questo non deve essere un compleanno, ma un complemese". Come a dirci: "Tornate ogni mese". Così siamo tornati. In giugno non fu possibile perché il Papa era in Polonia. Ancora oggi, alla grotta di Lourdes, abbiamo partecipato – eravamo un migliaio – alla Messa celebrata dal Papa con sei preti di Cl. Poi, alla fine, ancora canti e dialogo col Papa: Giovanni Paolo II ha la battuta pronta e un finissimo senso dell’umorismo, talvolta difficile a cogliere se l’interlocutore non è attento. Oggi ci ha detto: "Vi voglio ogni mese. Perché non siete venuti anche in giugno? Non so se avete sentito parlare di un certo Castello", alludeva a Castelgandolfo. "Ecco, in agosto vi voglio lì. Mi piacerebbe fare un’escursione con voi, ma le guardie svizzere lo impedirebbero!". Poi, dopo aver ascoltato e cantato con noi, si è buttato nella folla a stringere mani, a ricevere piccoli regali, a chiedere, a rispondere. L’ho sentito dire più volte: "Rimanete come siete. Siete forti, siete coraggiosi, siete generosi".


"Don Giussani realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri. Dando la vita, questa sua vita ha portato un frutto ricco, è divenuto realmente padre di molti e, avendo guidato le persone non a sé, ma a Cristo, proprio ha guadagnato i cuori, ha aiutato a migliorare il mondo, ad aprire le porte del mondo al cielo". Card. Joseph Ratzinger
omelia funebre, Duomo, 24 febbraio 2005

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