"Il valore del matrimonio e della famiglia nella proposta cristiana: la sua rilevanza civile"
Relazione conclusiva di Mons. Caffarra al convegno "Matrimonio e stabilità della famiglia. Un valore per la società? Istituzioni pubbliche e realtà associative a confronto su tematiche riguardanti la famiglia"
Bologna, 24 febbraio 2006
Desidero chiarire subito la prospettiva della mia riflessione. Essa non si propone di esporre la dottrina, la proposta cristiana circa il matrimonio e la famiglia: mi limiterò fra poco a richiamarla in sintesi molto brevemente. Né mi propongo un confronto fra la visione cristiana ed altre dottrine circa il matrimonio e la famiglia, così come non mi propongo di giustificare, di mostrare la verità e la bontà della proposta cristiana dal suo interno, con argomentazioni cioè teologiche.
Mi propongo invece di mostrare che la proposta di vita matrimoniale e familiare fatta dal cristianesimo è grandemente "produttiva di capitale sociale" e che pertanto deve essere difesa e favorita in questa sua capacità. Non svolgerò dunque un’argomentazione di tipo morale a favore di un "tipo" di matrimonio e di famiglia piuttosto che di un altro, ma cercherò di compiere un confronto secondo il criterio della maggiore o minore capacità di produrre capitale sociale.
Per esprimere il senso che riveste per me questa prospettiva devo ora fare due premesse, la prima riguardante il concetto di neutralità etica e la seconda il concetto di capitale sociale.
01. L’approccio di cui sopra parte dal presupposto che una neutralità etica assoluta, totale dello Stato è impossibile e non è augurabile. Non posso ora esporre lungamente ed argomentare questa tesi. Rimando ai testi dove ho cercato di farlo (1). Mi limito solo ad esporne il significato.
Esistono stili di vita che producono capitale sociale; esistono stili di vita che non solo non producono capitale sociale, ma usurano quello esistente. I due non possono essere equiparati, pena la progressiva erosione del bene comune. Ciò non significa che lo stile di vita nei confronti del quale la società è meno ospitale, debba essere punito o comunque intollerato; semplicemente potrebbe/dovrebbe essere ignorato.
"Nessuna società può accogliere in sé ogni forma di vita. È vero che possiamo deplorare, per così dire, la limitatezza dello spazio dei mondi sociali, e in particolare del nostro, e che alcuni inevitabili effetti della nostra cultura e della nostra struttura sociale possono dispiacerci. Come sostiene, da lungo tempo, Berlin (anzi questo è uno dei suoi temi fondamentali), non esiste un mondo sociale senza perdite; un mondo sociale, cioè, che non escluda modi di vita i quali realizzano, in maniera peculiare, certi valori fondamentali; che per cultura e per istituzione non si dimostri troppo congeniale a tali modi di vita" (2).
La mia tesi è che lo stile di vita matrimoniale e familiare proposto dal cristianesimo appartiene agli stili di vita produttivi di capitale sociale.
02. Il concetto di "capitale sociale" è dunque fondamentale in tutto il mio discorso. Mi devo quindi dilungare maggiormente nella chiarificazione di questo concetto.
Parto dal rifiuto della concezione individualistica dell’uomo. Come scrisse M. Buber "il fatto fondamentale dell’esistenza umana è l’uomo – con – l’uomo" (3). La relazione interpersonale è essenziale alla persona.
Da questa visione dell’uomo deriva che il bene comune "è quella relazione fra i beni singoli (o fra le parti del tutto considerato) che li coordina in modo che possano svilupparsi in una dinamica di reciproco arricchimento umano" (4). Il bene comune è il bene che è compiuto dalle persone nella loro reciproca relazione, e fruito in essa.
Infine, il bene comune è compiuto, è costruito da agenti razionali che praticano stili di vita piuttosto che altri stili che non edificano il bene comune. Si pensi, per fare solo un esempio, ad un pubblico ufficiale che pratichi nell’adempimento del suo ufficio uno stile clientelare. Egli non indurrà certamente nelle persone senso dello Stato. Egli pertanto mette in atto una pratica che demolisce e non edifica il bene comune, e pertanto erode quell’universo relazionale buono dentro cui solamente la persona cresce, e di cui il senso dello Stato è dimensione essenziale.
Quando dunque parlo di "capitale sociale" intendo l’insieme dei beni che nel loro insieme costituiscono il bene comune e che al contempo consentono di usufruirne senza usurarlo.
A questo punto dovrebbe essere del tutto chiara la prospettiva della mia riflessione o, se volete, la mia tesi. È la seguente. Esistono stili di vita/di vita matrimoniale e familiare che concorrono alla produzione del capitale sociale [= insieme dei beni che costituiscono il bene comune], e stili di vita/ di vita matrimoniale e familiare che concorrono all’erosione del capitale sociale: la proposta cristiana appartiene al primo tipo di stili di vita matrimoniale e familiare.
1. Terminate le premesse, mi corre l’obbligo come primo punto della mia riflessione dire molto sinteticamente e molto brevemente il contenuto essenziale della proposta cristiana.
Questo contenuto si articola nelle seguenti affermazioni fondamentali.
a. Il matrimonio è l’unione pubblicamente riconosciuta fra un uomo e una donna, indissolubile sia dall’interno sia dall’esterno, orientata alla generazione ed educazione della persona umana.
b. Questo matrimonio è stato elevato alla dignità di sacramento da Cristo. "Elevato" significa che la sacramentalità non si contrappone, non si giustappone alla coniugalità come tale, ma è questa stessa in quanto viene dotata di una simbolicità riguardante il nucleo stesso della fede cristiana.
c. Esiste un legame de jure indissociabile fra coniugalità e genitorialità che va in direzione reciproca: la coniugalità dice ordine alla genitorialità e la genitorialità si radica nella coniugalità.
d. Esiste un bene comune del matrimonio e della famiglia. Anzitutto il bene comune dei coniugi; l’amore, la fedeltà, l’onore, la durata della loro unione fino alla morte. Questo stesso bene comune (della coppia) è connesso al bene della famiglia: la genealogia della persona, la relazione intergenerazionale. Ed è vero di questo bene comune, ciò che è vero del bene comune come tale: più è comune tanto più è anche proprio. È l’esperienza fatta da chi esiste creando vere e buone relazioni interpersonali.
2. Avendo chiaro quanto detto, possiamo ora ritornare al nostro problema specifico, chiedendoci se la proposta di vita matrimoniale e familiare appena sintetizzata origina uno stile di vita che promuove il capitale sociale.
Ridotta all’osso, la mia argomentazione è la seguente: la convivenza civile – società civile e Stato – esige un tessuto connettivo alla cui formazione è indispensabile la famiglia ed il matrimonio così come è pensato dal cristianesimo in quanto istituzione naturale.
La domanda da cui parto è la seguente: è praticabile una società costituita da individui legati fra loro solo da norme procedurali-formali, tese esclusivamente ad assicurare e promuovere l’uguale autonomia degli individui? (5) Personalmente non lo ritengo.
È nota a tutti che l’autonomia ha due aspetti: autonomia da vicoli; autonomia nel realizzare quella concezione di vita buona che si ritiene vera. In sintesi: autonomia da …, autonomia per … Ma è un dato di esperienza che la realizzazione della propria concezione di vita è impossibile senza gli altri: senza la partecipazione nella vita associata. E da ciò deriva il vero concetto e la vera esperienza delle due colonne della vita associata: solidarietà e sussidiarietà.
La solidarietà non è un mero sentimento di altruismo ed ancor meno una coercizione che lega le parti dall’alto, ma è la lucida consapevolezza dell’interdipendenza di ciascuno da ciascuno: il mio bene non è realizzabile contro il bene dell’altro o a prescindere dal bene dell’altro. Se la libertà non edifica relazioni buone con l’altro, diventa la forza più distruttiva dell’uomo.
Ed ugualmente sussidiarietà non significa in primo luogo ciò che appartiene alla competenza di ciascuno, evitando strumentalizzazioni o colonizzazioni. Significa in primo luogo tutela e promozione di relazioni sociali tali che aiuti ciascuno [singoli e comunità] a svolgere i propri compiti.
Solo un tessuto connettivo solidale e sussidiario assicura una vera coesione sociale nella quale la mia autonomia e la mia libertà trovano nell’altro non il limite ma la condizione che le rende veramente possibili.
La comunità matrimoniale e familiare – così come è pensata e proposta dal cristianesimo ad ogni retta ragione – è il luogo originario in cui si apprende a praticare questo tipo di coesione sociale; il luogo originario della personalizzazione e socializzazione della persona. La proposta cristiana in quanto è razionalmente argomentabile e quindi universalmente condivisibile, impedisce quella riduzione della comunità coniugale e familiare a "pura affettività e spontaneità", a mera contrattazione fra due diritti supposti assoluti alla propria felicità individuale.
3. Se quanto ho detto finora in maniera troppo schematica – me ne rendo conto, essendo un intervento all’interno di una tavola rotonda – è vero, dobbiamo giungere ad una conclusione coerente: ad ogni livello, compreso quello statale, deve essere riconosciuto nella sua positività questo modello di vita coniugale e familiare.
Non sto proponendo un astratto primato della famiglia a difesa contro lo Stato; ancor meno sto proponendo una forma di teo-crazia o confessionalità dello Stato. Ma una posizione pienamente laica di promozione e difesa di quei valori relazionali che hanno nella famiglia e nel matrimonio la loro culla, e che si basa su una precisa giustificazione razionale e non di fede.
Quali sono i principali contenuti di una politica che riconosca e favorisca questo stile di vita? Mi devo limitare ad enunciarne solo quattro oggi particolarmente urgenti.
o Deve essere evitata qualsiasi forma, nascosta o palese, di equiparazione fra "la famiglia società naturale fondata sul matrimonio" ed altre forme di convivenza.
o Deve essere assicurato il diritto ad una casa adatta a condurre un vita familiare buona.
o Deve essere assicurato il diritto di esercitare la propria responsabilità nell’ambito della trasmissione della vita e dell’educazione dei figli.
o Devono essere conciliati e composti lavoro e famiglia, due componenti realizzative della persona e del bene comune, in una relazione nella quale non venga meno né la promozione del lavoro né la promozione della famiglia.
Mi piace concludere con le parole di Giovanni Paolo II: "Occorre davvero fare ogni sforzo, perché la famiglia sia riconosciuta come società primordiale e, in un certo senso, "sovrana"! La sua "sovranità" è indispensabile per il bene della società. Una Nazione veramente sovrana e spiritualmente forte è sempre composta di famiglie forti, consapevoli della loro vocazione e della loro missione nella storia. La famiglia sta al centro di tutti questi problemi e compiti: relegarla ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all’autentica crescita dell’intero corpo sociale" [Lett. Ap. Gratissimum sane 17,11; EV 14/284].
È ciò che la dottrina sociale più attenta oggi conferma quando parla della necessità di affermare la cittadinanza della famiglia (6) che significa riconoscere e favorire stili di vita famigliare ispirati a criteri di solidarietà e di piena reciprocità, fondati sui diritti non dell’individuo ma sui diritti relazionali della persona umana.
Note:
(1) Cfr. le seguenti mie lezioni o conferenze:
Omelia nella Solennità di S. Petronio, del 4 ottobre 2005;
Una vita giusta una vita buona: progetto sociale possibile?, del 13 gennaio 2006;
Il cristiano nella città, del 20 gennaio 2006;
Informazione e barbarie: se togliamo le radici della verità a che servono i mass media?, del 21 gennaio 2006.
(2) J. Rawls, Liberalismo politico, Edizioni di Comunità, Milano 1994, pagg.171-172.
(3) Il problema dell’uomo, LDC, Leumann, 1990, pag. 122.
(4) P. Donati, Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, ed. A.V.E., Roma 1997, pag. 65.
(5) La domanda tocca una questione o forse la questione fondamentale riguardante il vivere e con-vivere umano: quale è il "fondo" della realtà? quale è la realtà primordiale: l’uno irrelato o la comunione? e quindi: la cifra dell’umano è l’autonomia oppure l’amore erotico ed agapico? Benedetto XVI ha scritto la sua prima enciclica per rispondere a queste domande.
(6) Cfr. P.P. Donati, Famiglia e sussidiarietà: nuove politiche sociali che generano benessere sociale, in Welfare community [a cura di S. Belardinelli]. Egea, Milano 2005, pag. 89
Da Caffarra.it
Relazione conclusiva di Mons. Caffarra al convegno "Matrimonio e stabilità della famiglia. Un valore per la società? Istituzioni pubbliche e realtà associative a confronto su tematiche riguardanti la famiglia"
Bologna, 24 febbraio 2006
Desidero chiarire subito la prospettiva della mia riflessione. Essa non si propone di esporre la dottrina, la proposta cristiana circa il matrimonio e la famiglia: mi limiterò fra poco a richiamarla in sintesi molto brevemente. Né mi propongo un confronto fra la visione cristiana ed altre dottrine circa il matrimonio e la famiglia, così come non mi propongo di giustificare, di mostrare la verità e la bontà della proposta cristiana dal suo interno, con argomentazioni cioè teologiche.
Mi propongo invece di mostrare che la proposta di vita matrimoniale e familiare fatta dal cristianesimo è grandemente "produttiva di capitale sociale" e che pertanto deve essere difesa e favorita in questa sua capacità. Non svolgerò dunque un’argomentazione di tipo morale a favore di un "tipo" di matrimonio e di famiglia piuttosto che di un altro, ma cercherò di compiere un confronto secondo il criterio della maggiore o minore capacità di produrre capitale sociale.
Per esprimere il senso che riveste per me questa prospettiva devo ora fare due premesse, la prima riguardante il concetto di neutralità etica e la seconda il concetto di capitale sociale.
01. L’approccio di cui sopra parte dal presupposto che una neutralità etica assoluta, totale dello Stato è impossibile e non è augurabile. Non posso ora esporre lungamente ed argomentare questa tesi. Rimando ai testi dove ho cercato di farlo (1). Mi limito solo ad esporne il significato.
Esistono stili di vita che producono capitale sociale; esistono stili di vita che non solo non producono capitale sociale, ma usurano quello esistente. I due non possono essere equiparati, pena la progressiva erosione del bene comune. Ciò non significa che lo stile di vita nei confronti del quale la società è meno ospitale, debba essere punito o comunque intollerato; semplicemente potrebbe/dovrebbe essere ignorato.
"Nessuna società può accogliere in sé ogni forma di vita. È vero che possiamo deplorare, per così dire, la limitatezza dello spazio dei mondi sociali, e in particolare del nostro, e che alcuni inevitabili effetti della nostra cultura e della nostra struttura sociale possono dispiacerci. Come sostiene, da lungo tempo, Berlin (anzi questo è uno dei suoi temi fondamentali), non esiste un mondo sociale senza perdite; un mondo sociale, cioè, che non escluda modi di vita i quali realizzano, in maniera peculiare, certi valori fondamentali; che per cultura e per istituzione non si dimostri troppo congeniale a tali modi di vita" (2).
La mia tesi è che lo stile di vita matrimoniale e familiare proposto dal cristianesimo appartiene agli stili di vita produttivi di capitale sociale.
02. Il concetto di "capitale sociale" è dunque fondamentale in tutto il mio discorso. Mi devo quindi dilungare maggiormente nella chiarificazione di questo concetto.
Parto dal rifiuto della concezione individualistica dell’uomo. Come scrisse M. Buber "il fatto fondamentale dell’esistenza umana è l’uomo – con – l’uomo" (3). La relazione interpersonale è essenziale alla persona.
Da questa visione dell’uomo deriva che il bene comune "è quella relazione fra i beni singoli (o fra le parti del tutto considerato) che li coordina in modo che possano svilupparsi in una dinamica di reciproco arricchimento umano" (4). Il bene comune è il bene che è compiuto dalle persone nella loro reciproca relazione, e fruito in essa.
Infine, il bene comune è compiuto, è costruito da agenti razionali che praticano stili di vita piuttosto che altri stili che non edificano il bene comune. Si pensi, per fare solo un esempio, ad un pubblico ufficiale che pratichi nell’adempimento del suo ufficio uno stile clientelare. Egli non indurrà certamente nelle persone senso dello Stato. Egli pertanto mette in atto una pratica che demolisce e non edifica il bene comune, e pertanto erode quell’universo relazionale buono dentro cui solamente la persona cresce, e di cui il senso dello Stato è dimensione essenziale.
Quando dunque parlo di "capitale sociale" intendo l’insieme dei beni che nel loro insieme costituiscono il bene comune e che al contempo consentono di usufruirne senza usurarlo.
A questo punto dovrebbe essere del tutto chiara la prospettiva della mia riflessione o, se volete, la mia tesi. È la seguente. Esistono stili di vita/di vita matrimoniale e familiare che concorrono alla produzione del capitale sociale [= insieme dei beni che costituiscono il bene comune], e stili di vita/ di vita matrimoniale e familiare che concorrono all’erosione del capitale sociale: la proposta cristiana appartiene al primo tipo di stili di vita matrimoniale e familiare.
1. Terminate le premesse, mi corre l’obbligo come primo punto della mia riflessione dire molto sinteticamente e molto brevemente il contenuto essenziale della proposta cristiana.
Questo contenuto si articola nelle seguenti affermazioni fondamentali.
a. Il matrimonio è l’unione pubblicamente riconosciuta fra un uomo e una donna, indissolubile sia dall’interno sia dall’esterno, orientata alla generazione ed educazione della persona umana.
b. Questo matrimonio è stato elevato alla dignità di sacramento da Cristo. "Elevato" significa che la sacramentalità non si contrappone, non si giustappone alla coniugalità come tale, ma è questa stessa in quanto viene dotata di una simbolicità riguardante il nucleo stesso della fede cristiana.
c. Esiste un legame de jure indissociabile fra coniugalità e genitorialità che va in direzione reciproca: la coniugalità dice ordine alla genitorialità e la genitorialità si radica nella coniugalità.
d. Esiste un bene comune del matrimonio e della famiglia. Anzitutto il bene comune dei coniugi; l’amore, la fedeltà, l’onore, la durata della loro unione fino alla morte. Questo stesso bene comune (della coppia) è connesso al bene della famiglia: la genealogia della persona, la relazione intergenerazionale. Ed è vero di questo bene comune, ciò che è vero del bene comune come tale: più è comune tanto più è anche proprio. È l’esperienza fatta da chi esiste creando vere e buone relazioni interpersonali.
2. Avendo chiaro quanto detto, possiamo ora ritornare al nostro problema specifico, chiedendoci se la proposta di vita matrimoniale e familiare appena sintetizzata origina uno stile di vita che promuove il capitale sociale.
Ridotta all’osso, la mia argomentazione è la seguente: la convivenza civile – società civile e Stato – esige un tessuto connettivo alla cui formazione è indispensabile la famiglia ed il matrimonio così come è pensato dal cristianesimo in quanto istituzione naturale.
La domanda da cui parto è la seguente: è praticabile una società costituita da individui legati fra loro solo da norme procedurali-formali, tese esclusivamente ad assicurare e promuovere l’uguale autonomia degli individui? (5) Personalmente non lo ritengo.
È nota a tutti che l’autonomia ha due aspetti: autonomia da vicoli; autonomia nel realizzare quella concezione di vita buona che si ritiene vera. In sintesi: autonomia da …, autonomia per … Ma è un dato di esperienza che la realizzazione della propria concezione di vita è impossibile senza gli altri: senza la partecipazione nella vita associata. E da ciò deriva il vero concetto e la vera esperienza delle due colonne della vita associata: solidarietà e sussidiarietà.
La solidarietà non è un mero sentimento di altruismo ed ancor meno una coercizione che lega le parti dall’alto, ma è la lucida consapevolezza dell’interdipendenza di ciascuno da ciascuno: il mio bene non è realizzabile contro il bene dell’altro o a prescindere dal bene dell’altro. Se la libertà non edifica relazioni buone con l’altro, diventa la forza più distruttiva dell’uomo.
Ed ugualmente sussidiarietà non significa in primo luogo ciò che appartiene alla competenza di ciascuno, evitando strumentalizzazioni o colonizzazioni. Significa in primo luogo tutela e promozione di relazioni sociali tali che aiuti ciascuno [singoli e comunità] a svolgere i propri compiti.
Solo un tessuto connettivo solidale e sussidiario assicura una vera coesione sociale nella quale la mia autonomia e la mia libertà trovano nell’altro non il limite ma la condizione che le rende veramente possibili.
La comunità matrimoniale e familiare – così come è pensata e proposta dal cristianesimo ad ogni retta ragione – è il luogo originario in cui si apprende a praticare questo tipo di coesione sociale; il luogo originario della personalizzazione e socializzazione della persona. La proposta cristiana in quanto è razionalmente argomentabile e quindi universalmente condivisibile, impedisce quella riduzione della comunità coniugale e familiare a "pura affettività e spontaneità", a mera contrattazione fra due diritti supposti assoluti alla propria felicità individuale.
3. Se quanto ho detto finora in maniera troppo schematica – me ne rendo conto, essendo un intervento all’interno di una tavola rotonda – è vero, dobbiamo giungere ad una conclusione coerente: ad ogni livello, compreso quello statale, deve essere riconosciuto nella sua positività questo modello di vita coniugale e familiare.
Non sto proponendo un astratto primato della famiglia a difesa contro lo Stato; ancor meno sto proponendo una forma di teo-crazia o confessionalità dello Stato. Ma una posizione pienamente laica di promozione e difesa di quei valori relazionali che hanno nella famiglia e nel matrimonio la loro culla, e che si basa su una precisa giustificazione razionale e non di fede.
Quali sono i principali contenuti di una politica che riconosca e favorisca questo stile di vita? Mi devo limitare ad enunciarne solo quattro oggi particolarmente urgenti.
o Deve essere evitata qualsiasi forma, nascosta o palese, di equiparazione fra "la famiglia società naturale fondata sul matrimonio" ed altre forme di convivenza.
o Deve essere assicurato il diritto ad una casa adatta a condurre un vita familiare buona.
o Deve essere assicurato il diritto di esercitare la propria responsabilità nell’ambito della trasmissione della vita e dell’educazione dei figli.
o Devono essere conciliati e composti lavoro e famiglia, due componenti realizzative della persona e del bene comune, in una relazione nella quale non venga meno né la promozione del lavoro né la promozione della famiglia.
Mi piace concludere con le parole di Giovanni Paolo II: "Occorre davvero fare ogni sforzo, perché la famiglia sia riconosciuta come società primordiale e, in un certo senso, "sovrana"! La sua "sovranità" è indispensabile per il bene della società. Una Nazione veramente sovrana e spiritualmente forte è sempre composta di famiglie forti, consapevoli della loro vocazione e della loro missione nella storia. La famiglia sta al centro di tutti questi problemi e compiti: relegarla ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all’autentica crescita dell’intero corpo sociale" [Lett. Ap. Gratissimum sane 17,11; EV 14/284].
È ciò che la dottrina sociale più attenta oggi conferma quando parla della necessità di affermare la cittadinanza della famiglia (6) che significa riconoscere e favorire stili di vita famigliare ispirati a criteri di solidarietà e di piena reciprocità, fondati sui diritti non dell’individuo ma sui diritti relazionali della persona umana.
Note:
(1) Cfr. le seguenti mie lezioni o conferenze:
Omelia nella Solennità di S. Petronio, del 4 ottobre 2005;
Una vita giusta una vita buona: progetto sociale possibile?, del 13 gennaio 2006;
Il cristiano nella città, del 20 gennaio 2006;
Informazione e barbarie: se togliamo le radici della verità a che servono i mass media?, del 21 gennaio 2006.
(2) J. Rawls, Liberalismo politico, Edizioni di Comunità, Milano 1994, pagg.171-172.
(3) Il problema dell’uomo, LDC, Leumann, 1990, pag. 122.
(4) P. Donati, Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, ed. A.V.E., Roma 1997, pag. 65.
(5) La domanda tocca una questione o forse la questione fondamentale riguardante il vivere e con-vivere umano: quale è il "fondo" della realtà? quale è la realtà primordiale: l’uno irrelato o la comunione? e quindi: la cifra dell’umano è l’autonomia oppure l’amore erotico ed agapico? Benedetto XVI ha scritto la sua prima enciclica per rispondere a queste domande.
(6) Cfr. P.P. Donati, Famiglia e sussidiarietà: nuove politiche sociali che generano benessere sociale, in Welfare community [a cura di S. Belardinelli]. Egea, Milano 2005, pag. 89
Da Caffarra.it