Caro Adriano, Abort macht frei
Prima di una serie di risposte al pamphlet di Sofri
di Giuliano Ferrara
Tratto da Il Foglio del 14 marzo 2008
Caro Adriano, rubo tempo al sonno per rispondere in campagna elettorale, dunque a rate, al tuo consistente pamphlet “Contro Giuliano”, che è una lunga lettera d’amicizia e di radicale dissenso dalle mie idee sull’aborto e il maltrattamento della vita umana.
Ma ora che hai condensato in un’intervista all’Espresso ciò che pensi, è urgente una risposta da giornale a giornale entro la misura di tempo che è dei giornali. Ora che le tue idee distese e pensate, sbagliatissime epperò amichevoli, vanno in pasto al giornalista collettivo, che ne saprà fare uso acconcio, il subgiornalista individualista che io sono è tenuto a replicare.
Avrai letto le nuove da Genova. Avrai visto, tu che tendi a riconoscermelo sia pure con riserva, che la 194 non c’entra con la mia campagna. Io sono inorridito dall’aborto moralmente indifferente, seriale, segnacolo chirurgico o farmacologico nel vessillo della libertà femminile, non da una legge che si proponeva di combattere l’aborto clandestino “tutelando socialmente la maternità”. Avrai visto su Repubblica di ieri, a pagina quindici, l’onesta cronaca di due giornalisti non collettivi sui motivi degli aborti nel milieu benestante (da cinquecento a mille euro l’uno) di una certa Genova. Avrai letto che si può raschiare via un bambino da un utero, e assoggettarsi a questo orrore che ti seguirà tutta la vita, e che si può comporlo in una busta di plastica, chiamarlo “rifiuto speciale ospedaliero”, gettarlo in una discarica, perché si deve proteggere la carriera in un reality show, e agire in tutta riservatezza. Avrai letto che la stessa cosa si può fare perché un fidanzamento è in crisi. Avrai visto che questi delitti non si commettono per tutelare la salute fisica e psichica delle donne, secondo il dettato di una legge tradita dalla più spietata ipocrisia ideologica e sociale, ma “perché l’ho deciso”, cioè perché sono libera di farlo, l’aborto mica è illegale, non sapevo nemmeno che andando da un ginecologo privato commettevo un reato.
Abort macht frei. Abtreibung macht frei. Questo bisognerebbe scrivere, trent’anni dopo, un miliardo di aborti dopo, davanti agli studi ginecologici abortisti e agli ospedali dove si praticano le cosiddette interruzioni di gravidanza. E mi dispiace che tu dissenta da Giovanni Paolo II il Grande, e da una specie di Klinefelter con le palle piccole come sono io, quando ti diciamo ciò che è ovvio, scontato, vero e fin troppo reale: l’aborto massificato e moralmente e mortalmente indifferente di oggi è una pratica di disprezzo e disumanizzazione della vita il cui unico paragone moderno è la Shoah. E’ un reality da paura contro il quale devono insorgere le convinzioni laiche di ogni cattolico e il voto cristiano di ogni laico che non abbia portato il cervello all’ammasso delle discariche in cui vengono gettati i feti.
Tu sei convinto che io sia un convertito, uno strano simulatore della fede che però passa di conversione in conversione invece di aderire con la tua sovrana stabilità alla cultura pestifera emersa dallo squallido riflusso delle famose lotte degli anni Sessanta, poi fattesi mattatoio negli anni Settanta, gli anni del terrorismo e dell’aborto. Ti risponderò bene bene su questo, e domani nel Foglio vedrai che cosa accade quando in un teatro di Catania parlo di Cristo, della fede, della ragione e della tecnoscienza con un prete che mi è amico e mi vuole a tutti i costi convertire sulla via del Signore. Ma intanto. Perché non chiedi una piccola conversione, anche provvisoria, alla ministra delle Impari Opportunità di vita e di morte, onorevole Barbara Pollastrini? Quella gentile signora che dichiarava, mentre emergeva la realtà di un bambino ucciso per un reality, che la colpa di quel che è successo a Genova era mia? Perché non chiedi una simulazione della fede alla cattolica Livia Turco, ministra della Salute, che invece di occuparsi dei corpi delle donne e dei bambini, martoriati dall’aborto, punta a introdurre in Italia la pillola abortiva Ru486, cioè la soluzione finale?
Perché tu lo sai, vero Adriano?, lo sai che quando la soubrette del reality, che Dio protegga la sua serenità personale e il suo anonimato (il mio giornale lo custodirà con attenzione), quando la ragazza sarà in grado di andare dal dottor Viale, quel buffo ginecologo radicale e democratico con il Diavolo che gli fa capolino sulla spalla, e chiedergli una pilloletta amica per soddisfare il proprio desiderio abortivo-televisivo, e lui gliela darà felice, sarà stato costruito il ponte, l’anello mancante, tra l’aborto pubblico per la “tutela sociale della maternità” e l’aborto privato e clandestino, fatto in ambulatorio o a casa, nel bagno della propria casa, con l’espulsione privata del feto, e tanti saluti alle campagne odiose di Giuliano Ferrara. Sarà il trionfo dell’anarchia etica, non quella di Silvio Berlusconi, che come al solito è una innocente commedia leggera, quella della realtà, quella di tutti i giorni, quella della nostra malinconia e della nostra dannazione.
Che le donne non siano assassine, ma l’aborto sia un omicidio, non l’ho detto solo io. L’ha detto la tua amata Natalia Ginzburg, l’ha detto il tuo maestro Bobbio, il tuo poeta prediletto Pasolini. Tutta gente che hai messo in appendice al tuo pamphlet contro Giuliano. Li ho usati tutti per spiegare quel che penso e quel che sento. Io li ho usati, traendoli dall’ectoplasma degli anni Settanta e Ottanta, perché purtroppo non posso usare te, non posso usare testimonianze serie e coraggiose del mio tempo tristo e ortodosso, che ha dichiarato eretici amore e buonumore, perché testimonianze del genere non ci sono più, non ci sono più voci moderne che si pronuncino contro l’immondezzaio dell’aborto di massa o che almeno, anche nella comprensione e nella denuncia di un mistero (come Natalia), chiamino le cose con il loro nome. E sai perché non ci sono più quelle voci, a parte i “nostri”, quelli di un mondo che voi intellettuali di sinistra non sapete ascoltare e che vi è estraneo, parlo delle voci di preti e di filosofi e di gente comune che non accetta la cultura della morte; sai perché non ci sono più, dalla tua parte, persone che dicano come stanno le cose? Perché siamo nel mondo postmoderno, ha vinto il pensiero debole, il relativismo nichilista senza remore né confini, e nominare le cose con il loro nome vuol dire bestemmia contro gli idoli, vuol dire presumere che esista quella cosa che oggi si considera cupa e dominatrice e che è la verità, la rocciosa verità che resta dopo che tutto quanto è crollato.
Io sono isolato ma non vinto, caro Adriano. Non ho ripudiato il mio mondo, è dal meglio del mio mondo laico che prendo le risorse razionali per stringere la mano di quell’altro mondo di fede che rispetta la realtà. Non sono io che criminalizzo o colpevolizzo le donne, è l’aborto che le sfregia. Non sono io che calunnio i benpensanti abortisti, sono loro che si diffamano da soli al cospetto della ragione, della cultura e dello spirito. Con te i tiepidi di ogni latitudine e longitudine, che saranno regolarmente vomitati, con me le diocesi di Roma e di Toledo, e mi bastano. Con me la verità, e mi basta e avanza. Anche perché la dico e continuerò a dirla senza fanatismo, ma con una ferrigna e intrattabile convinzione. Trovando il cinismo dove si nasconde e provando a infilzarlo con la mia lancia, e peggio per me se prenderò un sacco di botte, intanto la verità sarà stata detta, si saprà che ce n’è una sola, e il chicco di grano se ne morirà come deve perché qualcuno raccolga. Per il resto, come ti ho detto, ruberò tempo al sonno e ti risponderò a rate.
***
Giuliano Ferrara “è convinto che la nostra società si divida in due, di qua il mondo femminista e libertario, di là il mondo familista e cattolico, e lui ha passato le linee, ha lasciato il suo mondo d’origine e ha trovato casa nel nuovo mondo. E quando si ripudia un mondo, si è tentati di calunniarlo. Così Giuliano ha scritto che ‘le donne non sono solo quelle coi capelli tinti di viola, i tacchi alti, e il grido dell’ideologia sempre in gola’. Il grido dell’ideologia è allarmante da qualunque parte provenga, ma i tacchi alti e i capelli viola (non è la fata turchina?) possono essere una meraviglia”. Lo afferma Adriano Sofri, in un intervista all’Espresso, pubblicata sul numero in edicola da domani. Sofri pensa che questa volta “Giuliano l’ha fatta grossa”. La cosa “grossa” è la crociata contro l’aborto che mina ogni idea di sessualità felice. E così Sofri ha scritto un libro intitolato “Contro Giuliano. Noi uomini, le donne, l’aborto”, in uscita in questi giorni da Sellerio. Nell’intervista Sofri parte da una premessa: “Anche chi non può vedere Giuliano dovrà riconoscergli, in un corpo da elefante, se non da Sancho Panza, un’anima donchisciottesca. In questa crociata è riuscito a isolarsi non solo dai suoi supposti partner politici, ma dalla stessa ufficialità della chiesa. E’ vero che il Papa, così impetuosamente corteggiato, nell’incontro al Testaccio gli ha detto: ‘Finalmente’, ma non si può escludere che, al primo scarto, arrivi una Bolla pontificia con quel famoso incipit: ‘Un cinghiale è entrato nella vigna del Signore’”.
Per Sofri “la 194 è il confine di qua dal quale si può cominciare a discutere. Anche Ferrara ripete di non volerla toccare, benché sottovaluti che l’apparente rassegnazione della gerarchia cattolica nei confronti della legge è solo questione di rapporti di forza: quando l’aria cambiasse, ne farebbero un solo boccone” e, ancora, “il corpo delle donne appartiene alle donne, e fino a quando la creatura che cresce dentro il corpo della madre non se ne sia staccata, non c’è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale”. A Ferrara Sofri lancia poi l’accusa “di indelicatezza, che a lui sembra franchezza. Non è solo affare di tono, ma di sostanza. L’aborto, proclama, è omicidio. Allora, gli chiedi, le donne che abortiscono sono assassine? No, protesta lui, assassini siamo io, tu, la società. Ma questa che nelle sue intenzioni è indulgenza, c’è l’omicidio, ma non c’è l’assassina, si traduce in un’espropriazione. Le donne, già recipienti passivi delle nuove vite da dare ai loro uomini, finiscono per essere tramiti irresponsabili della stessa vita mancata nell’aborto. Uccidono, ma non sono state loro: siamo ‘io, tu e la società’”.
Quanto all’uso del termine “moratori”, per Sofri “è un furto con destrezza: era appena stata votata la moratoria sulla pena di morte, e Ferrara l’ha afferrata e l’ha girata all’aborto. Alla lettera, moratoria dell’aborto non significa niente: gli stati possono sospendere le esecuzioni capitali, ma le donne non possono sospendere sine die gli aborti. Dunque si tratta di uno slogan suggestivo, ma niente più”. Per Sofri, infine, “quella di Ferrara si dichiara come una conversione, ‘non ancora’ religiosa, ma sì di vita, e un appello alla conversione altrui. Su questo terreno minatissimo, ho un paio di obiezioni, o di dubbi. La conversione è una rivoluzione, la più auspicabile delle rivoluzioni, e forse l’unica possibile. E’ possibile una specie di ‘conversione permanente’, una velleità di conversioni che cerca di volta in volta la sua occasione? Ed è possibile restare per tutta una vita il Davide di qualche Saul, senza mai diventare il Davide di se stessi?”. “Giuliano può replicare che questa è la volta vera, e che l’aborto è lo scandalo supremo della nostra epoca. Io non riesco a credere nemmeno questo. Una bambina, un bambino che viene al mondo è la cosa più bella, ma un embrione abortito non è la cosa più brutta, se mai si volessero fare paragoni: la cosa più brutta – conclude Sofri – è un bambino nato che muore di fame o di abbandono o di violenza, che si aggrappa al seno vuoto di sua madre”. (Adnkronos)
Prima di una serie di risposte al pamphlet di Sofri
di Giuliano Ferrara
Tratto da Il Foglio del 14 marzo 2008
Caro Adriano, rubo tempo al sonno per rispondere in campagna elettorale, dunque a rate, al tuo consistente pamphlet “Contro Giuliano”, che è una lunga lettera d’amicizia e di radicale dissenso dalle mie idee sull’aborto e il maltrattamento della vita umana.
Ma ora che hai condensato in un’intervista all’Espresso ciò che pensi, è urgente una risposta da giornale a giornale entro la misura di tempo che è dei giornali. Ora che le tue idee distese e pensate, sbagliatissime epperò amichevoli, vanno in pasto al giornalista collettivo, che ne saprà fare uso acconcio, il subgiornalista individualista che io sono è tenuto a replicare.
Avrai letto le nuove da Genova. Avrai visto, tu che tendi a riconoscermelo sia pure con riserva, che la 194 non c’entra con la mia campagna. Io sono inorridito dall’aborto moralmente indifferente, seriale, segnacolo chirurgico o farmacologico nel vessillo della libertà femminile, non da una legge che si proponeva di combattere l’aborto clandestino “tutelando socialmente la maternità”. Avrai visto su Repubblica di ieri, a pagina quindici, l’onesta cronaca di due giornalisti non collettivi sui motivi degli aborti nel milieu benestante (da cinquecento a mille euro l’uno) di una certa Genova. Avrai letto che si può raschiare via un bambino da un utero, e assoggettarsi a questo orrore che ti seguirà tutta la vita, e che si può comporlo in una busta di plastica, chiamarlo “rifiuto speciale ospedaliero”, gettarlo in una discarica, perché si deve proteggere la carriera in un reality show, e agire in tutta riservatezza. Avrai letto che la stessa cosa si può fare perché un fidanzamento è in crisi. Avrai visto che questi delitti non si commettono per tutelare la salute fisica e psichica delle donne, secondo il dettato di una legge tradita dalla più spietata ipocrisia ideologica e sociale, ma “perché l’ho deciso”, cioè perché sono libera di farlo, l’aborto mica è illegale, non sapevo nemmeno che andando da un ginecologo privato commettevo un reato.
Abort macht frei. Abtreibung macht frei. Questo bisognerebbe scrivere, trent’anni dopo, un miliardo di aborti dopo, davanti agli studi ginecologici abortisti e agli ospedali dove si praticano le cosiddette interruzioni di gravidanza. E mi dispiace che tu dissenta da Giovanni Paolo II il Grande, e da una specie di Klinefelter con le palle piccole come sono io, quando ti diciamo ciò che è ovvio, scontato, vero e fin troppo reale: l’aborto massificato e moralmente e mortalmente indifferente di oggi è una pratica di disprezzo e disumanizzazione della vita il cui unico paragone moderno è la Shoah. E’ un reality da paura contro il quale devono insorgere le convinzioni laiche di ogni cattolico e il voto cristiano di ogni laico che non abbia portato il cervello all’ammasso delle discariche in cui vengono gettati i feti.
Tu sei convinto che io sia un convertito, uno strano simulatore della fede che però passa di conversione in conversione invece di aderire con la tua sovrana stabilità alla cultura pestifera emersa dallo squallido riflusso delle famose lotte degli anni Sessanta, poi fattesi mattatoio negli anni Settanta, gli anni del terrorismo e dell’aborto. Ti risponderò bene bene su questo, e domani nel Foglio vedrai che cosa accade quando in un teatro di Catania parlo di Cristo, della fede, della ragione e della tecnoscienza con un prete che mi è amico e mi vuole a tutti i costi convertire sulla via del Signore. Ma intanto. Perché non chiedi una piccola conversione, anche provvisoria, alla ministra delle Impari Opportunità di vita e di morte, onorevole Barbara Pollastrini? Quella gentile signora che dichiarava, mentre emergeva la realtà di un bambino ucciso per un reality, che la colpa di quel che è successo a Genova era mia? Perché non chiedi una simulazione della fede alla cattolica Livia Turco, ministra della Salute, che invece di occuparsi dei corpi delle donne e dei bambini, martoriati dall’aborto, punta a introdurre in Italia la pillola abortiva Ru486, cioè la soluzione finale?
Perché tu lo sai, vero Adriano?, lo sai che quando la soubrette del reality, che Dio protegga la sua serenità personale e il suo anonimato (il mio giornale lo custodirà con attenzione), quando la ragazza sarà in grado di andare dal dottor Viale, quel buffo ginecologo radicale e democratico con il Diavolo che gli fa capolino sulla spalla, e chiedergli una pilloletta amica per soddisfare il proprio desiderio abortivo-televisivo, e lui gliela darà felice, sarà stato costruito il ponte, l’anello mancante, tra l’aborto pubblico per la “tutela sociale della maternità” e l’aborto privato e clandestino, fatto in ambulatorio o a casa, nel bagno della propria casa, con l’espulsione privata del feto, e tanti saluti alle campagne odiose di Giuliano Ferrara. Sarà il trionfo dell’anarchia etica, non quella di Silvio Berlusconi, che come al solito è una innocente commedia leggera, quella della realtà, quella di tutti i giorni, quella della nostra malinconia e della nostra dannazione.
Che le donne non siano assassine, ma l’aborto sia un omicidio, non l’ho detto solo io. L’ha detto la tua amata Natalia Ginzburg, l’ha detto il tuo maestro Bobbio, il tuo poeta prediletto Pasolini. Tutta gente che hai messo in appendice al tuo pamphlet contro Giuliano. Li ho usati tutti per spiegare quel che penso e quel che sento. Io li ho usati, traendoli dall’ectoplasma degli anni Settanta e Ottanta, perché purtroppo non posso usare te, non posso usare testimonianze serie e coraggiose del mio tempo tristo e ortodosso, che ha dichiarato eretici amore e buonumore, perché testimonianze del genere non ci sono più, non ci sono più voci moderne che si pronuncino contro l’immondezzaio dell’aborto di massa o che almeno, anche nella comprensione e nella denuncia di un mistero (come Natalia), chiamino le cose con il loro nome. E sai perché non ci sono più quelle voci, a parte i “nostri”, quelli di un mondo che voi intellettuali di sinistra non sapete ascoltare e che vi è estraneo, parlo delle voci di preti e di filosofi e di gente comune che non accetta la cultura della morte; sai perché non ci sono più, dalla tua parte, persone che dicano come stanno le cose? Perché siamo nel mondo postmoderno, ha vinto il pensiero debole, il relativismo nichilista senza remore né confini, e nominare le cose con il loro nome vuol dire bestemmia contro gli idoli, vuol dire presumere che esista quella cosa che oggi si considera cupa e dominatrice e che è la verità, la rocciosa verità che resta dopo che tutto quanto è crollato.
Io sono isolato ma non vinto, caro Adriano. Non ho ripudiato il mio mondo, è dal meglio del mio mondo laico che prendo le risorse razionali per stringere la mano di quell’altro mondo di fede che rispetta la realtà. Non sono io che criminalizzo o colpevolizzo le donne, è l’aborto che le sfregia. Non sono io che calunnio i benpensanti abortisti, sono loro che si diffamano da soli al cospetto della ragione, della cultura e dello spirito. Con te i tiepidi di ogni latitudine e longitudine, che saranno regolarmente vomitati, con me le diocesi di Roma e di Toledo, e mi bastano. Con me la verità, e mi basta e avanza. Anche perché la dico e continuerò a dirla senza fanatismo, ma con una ferrigna e intrattabile convinzione. Trovando il cinismo dove si nasconde e provando a infilzarlo con la mia lancia, e peggio per me se prenderò un sacco di botte, intanto la verità sarà stata detta, si saprà che ce n’è una sola, e il chicco di grano se ne morirà come deve perché qualcuno raccolga. Per il resto, come ti ho detto, ruberò tempo al sonno e ti risponderò a rate.
***
Giuliano Ferrara “è convinto che la nostra società si divida in due, di qua il mondo femminista e libertario, di là il mondo familista e cattolico, e lui ha passato le linee, ha lasciato il suo mondo d’origine e ha trovato casa nel nuovo mondo. E quando si ripudia un mondo, si è tentati di calunniarlo. Così Giuliano ha scritto che ‘le donne non sono solo quelle coi capelli tinti di viola, i tacchi alti, e il grido dell’ideologia sempre in gola’. Il grido dell’ideologia è allarmante da qualunque parte provenga, ma i tacchi alti e i capelli viola (non è la fata turchina?) possono essere una meraviglia”. Lo afferma Adriano Sofri, in un intervista all’Espresso, pubblicata sul numero in edicola da domani. Sofri pensa che questa volta “Giuliano l’ha fatta grossa”. La cosa “grossa” è la crociata contro l’aborto che mina ogni idea di sessualità felice. E così Sofri ha scritto un libro intitolato “Contro Giuliano. Noi uomini, le donne, l’aborto”, in uscita in questi giorni da Sellerio. Nell’intervista Sofri parte da una premessa: “Anche chi non può vedere Giuliano dovrà riconoscergli, in un corpo da elefante, se non da Sancho Panza, un’anima donchisciottesca. In questa crociata è riuscito a isolarsi non solo dai suoi supposti partner politici, ma dalla stessa ufficialità della chiesa. E’ vero che il Papa, così impetuosamente corteggiato, nell’incontro al Testaccio gli ha detto: ‘Finalmente’, ma non si può escludere che, al primo scarto, arrivi una Bolla pontificia con quel famoso incipit: ‘Un cinghiale è entrato nella vigna del Signore’”.
Per Sofri “la 194 è il confine di qua dal quale si può cominciare a discutere. Anche Ferrara ripete di non volerla toccare, benché sottovaluti che l’apparente rassegnazione della gerarchia cattolica nei confronti della legge è solo questione di rapporti di forza: quando l’aria cambiasse, ne farebbero un solo boccone” e, ancora, “il corpo delle donne appartiene alle donne, e fino a quando la creatura che cresce dentro il corpo della madre non se ne sia staccata, non c’è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale”. A Ferrara Sofri lancia poi l’accusa “di indelicatezza, che a lui sembra franchezza. Non è solo affare di tono, ma di sostanza. L’aborto, proclama, è omicidio. Allora, gli chiedi, le donne che abortiscono sono assassine? No, protesta lui, assassini siamo io, tu, la società. Ma questa che nelle sue intenzioni è indulgenza, c’è l’omicidio, ma non c’è l’assassina, si traduce in un’espropriazione. Le donne, già recipienti passivi delle nuove vite da dare ai loro uomini, finiscono per essere tramiti irresponsabili della stessa vita mancata nell’aborto. Uccidono, ma non sono state loro: siamo ‘io, tu e la società’”.
Quanto all’uso del termine “moratori”, per Sofri “è un furto con destrezza: era appena stata votata la moratoria sulla pena di morte, e Ferrara l’ha afferrata e l’ha girata all’aborto. Alla lettera, moratoria dell’aborto non significa niente: gli stati possono sospendere le esecuzioni capitali, ma le donne non possono sospendere sine die gli aborti. Dunque si tratta di uno slogan suggestivo, ma niente più”. Per Sofri, infine, “quella di Ferrara si dichiara come una conversione, ‘non ancora’ religiosa, ma sì di vita, e un appello alla conversione altrui. Su questo terreno minatissimo, ho un paio di obiezioni, o di dubbi. La conversione è una rivoluzione, la più auspicabile delle rivoluzioni, e forse l’unica possibile. E’ possibile una specie di ‘conversione permanente’, una velleità di conversioni che cerca di volta in volta la sua occasione? Ed è possibile restare per tutta una vita il Davide di qualche Saul, senza mai diventare il Davide di se stessi?”. “Giuliano può replicare che questa è la volta vera, e che l’aborto è lo scandalo supremo della nostra epoca. Io non riesco a credere nemmeno questo. Una bambina, un bambino che viene al mondo è la cosa più bella, ma un embrione abortito non è la cosa più brutta, se mai si volessero fare paragoni: la cosa più brutta – conclude Sofri – è un bambino nato che muore di fame o di abbandono o di violenza, che si aggrappa al seno vuoto di sua madre”. (Adnkronos)