Martedì 19 febbraio 2008
Preservativo panacea contro le infezioni sessuali? Campagne di studio ottengono risultato opposto
dal sito dei PapaBoys
ROMA - La questione della distribuzione di massa dei preservativi è nuovamente sulle prime pagine della stampa. Nei giorni precedenti alle celebrazioni del carnevale in Brasile, le autorità hanno annunciato la distribuzione gratuita di 19,5 milioni di profilattici, secondo quanto riportato dalla Reuters il 28 gennaio. Recentemente, una rivista britannica di medicina, il Lancet, ha criticato la Chiesa per la sua opposizione all’uso dei preservativi. Un editoriale pubblicato sull’edizione del 26 gennaio rimprovera a Benedetto XVI di non voler cambiare la linea della Chiesa per consentire ai cattolici di far uso del preservativo al fine di evitare l’eventuale contagio con il virus dell’HIV/AIDS. Tuttavia, il presupposto secondo cui il preservativo sarebbe la soluzione contro le malattie sessualmente trasmesse si sta dimostrando sempre di più infondato. Il British Medical Journal ha pubblicato, nell’edizione del 26 gennaio, un forum sulla questione del preservativo, in cui figurano articoli sia a favore sia contro.
Ma anche gli articoli di Markus Steiner e Willard Cates, a favore dei preservativi, ammettono che, in aggiunta all’uso del profilattico, è necessario adottare comportamenti volti ad evitare o ridurre i rischi di contagio. Fra tali misure gli autori citano la tardiva iniziazione all’attività sessuale e la fedeltà reciproca dei partner. Fra gli autori “contro” vi è Stephen Genuis che scrive chiaramente: “Anzitutto, il preservativo non può essere considerato come la risposta definitiva al contagio sessuale perché esso assicura una protezione insufficiente contro la trasmissione di molte malattie comuni”. Genius sottolinea anche che: “La ricerca epidemiologica ha dimostrato ripetutamente che la diffusa familiarità con il preservativo e la maggiore consapevolezza sui rischi infettivi di fatto non comporta l’adozione di scelte sessuali più sicure”.
Rincarare la dose - Di fronte a simili constatazioni, sui limiti delle campagne di educazione sessuale e di diffusione del preservativo, la reazione spesso è quella di rincarare la dose. Un classico esempio di questo tipo di reazione viene dall’Australia, dove risulta che il 60% delle donne che hanno avuto gravidanze non programmate stavano facendo uso della pillola contraccettiva o del preservativo. Secondo il servizio apparso il 30 gennaio sul quotidiano Age di Melbourne, le organizzazioni per la pianificazione familiare rispondono a tale situazione promuovendo un rafforzamento dei programmi di educazione sessuale.
Tuttavia, nel citato articolo apparso sul British Medical Journal, Genius sottolinea l’inefficacia di tale strategia. Con riferimento al preservativo e alle campagne di “sesso sicuro”, l’autore afferma: “L’incessante aumento della diffusione di malattie sessualmente trasmesse, a fronte di un livello senza precedenti nell’educazione e promozione dell’uso del preservativo, dimostra tutti i limiti di tali politiche”. “In molti studi di ampia portata, gli sforzi concertati, diretti a promuovere l’uso del preservativo, hanno regolarmente mancato di arginare i tassi di infezioni sessualmente trasmesse, persino nei Paesi con programmi avanzati di educazione sessuale come il Canada, la Svezia e la Svizzera”.
D’altra parte, in quei Paesi come la Tailandia e la Cambogia in cui le infezioni sessualmente trasmesse sono diminuite, un attento esame dei dati rivela che le cause di tale riduzione sono da attribuire non al maggior uso del preservativo, ma a cambiamenti nei comportamenti sessuali, afferma Genius. “Moltissimi adolescenti, bombardati da un’educazione sessuale incentrata sull’uso del profilattico, non sono in grado di soddisfare le proprie esigenze umane fondamentali e finiscono per contrarre malattie a trasmissione sessuale”, conclude Genius.
L’esperienza in Africa - Un libro pubblicato lo scorso anno critica l’eccessivo affidamento al preservativo nella lotta all’AIDS in Africa. L’autrice del libro “The Invisible Cure: Africa, The West, And the Fight Against AIDS”, (Farrar, Straus, and Giroux), Helen Epstein, esprime riserve anche per le campagne sull’astinenza sessuale, ma ammette in ogni caso l’importanza del cambiamento nel comportamento sessuale. Nel tentativo di trovare le cause dell’alto tasso di infezione in Africa, i ricercatori hanno riscontrato che una percentuale relativamente elevata di uomini e donne africani intrattenevano contemporaneamente più rapporti sessuali. Rispetto alla diffusa monogamia dei Paesi occidentali, i rapporti multipli aumentano notevolmente il rischio di una rapida diffusione delle malattie sessuali.
Epstein critica fortemente le campagne contro l’AIDS, gestite dagli occidentali. Organizzazioni come Population Services International, Family Health International e Marie Stopes International, sono state tra le prime a promuovere il controllo demografico, osserva l’autrice. Più di recente, la loro attività di campagne promozionali dell’uso del preservativo si sono rivelate delle forme di pubblicità che di fatto hanno promosso la diffusione dell’attività sessuale, e in alcuni casi hanno “sconfinato nella misoginia”, aggiunge Epstein. Il messaggio che da queste campagne viene fuori è che il sesso casuale non è un problema fintanto che si usa il preservativo. In più, oltre a promuovere comportamenti che di fatto alimentano il contagio, secondo Epstein, esse spesso contrastano con le sensibilità locali in tema di morale e rispetto della persona.
Cambiare il comportamento - Epstein critica le organizzazioni e le Nazioni Unite anche per la loro tendenza a minimizzare l’importanza dell’infedeltà nella diffusione dell’AIDS. Al riguardo l’autrice racconta la sua esperienza in cui, ad una conferenza internazionale sull’AIDS che si è svolta a Bangkok, i ricercatori che presentavano dati sull’importanza della fedeltà nella prevenzione contro il contagio sono stati “praticamente fischiati via dal palco”. Anche un altro libro pubblicato lo scorso anno, “The AIDS Pandemic: The Collision of Epidemiology With Political Correctness” (Radcliffe Publishing), sottolinea la necessità di promuovere il cambiamento nel comportamento sessuale, piuttosto che fare esclusivo affidamento sull’uso del preservativo.
James Chin, professore di epidemiologia presso l’Università della California a Berkeley, dedica un’ampia parte del libro ad un’analisi sul numero delle persone infette dal virus dell’AIDS, sottolineando come spesso i dati sono ampiamente gonfiati. Chin sostiene anche che i timori di un contagio su larga scala nella popolazione sono infondati, dato che il comportamento della maggioranza delle persone non espone a cadere vittima dell’AIDS. Il rischio maggiore del contagio si colloca fra gli omosessuali e fra coloro che hanno partner molteplici e simultanei, spiega l’autore.
Il contributo positivo che la religione può dare nel processo di cambiamento del comportamento sessuale è stato riconosciuto in uno studio della RAND Corporation, pubblicato lo scorso anno. Le persone sieropositive che affermano di considerare la religione come una parte importante della propria vita risultano avere meno partner sessuali e minori probabilità di diffondere il virus, secondo questo studio dal titolo “Religiosity, Denominational Affiliation and Sexual Behaviors Among People with HIV in the U.S.”. “La religiosità è una risorsa poco usata nella lotta all’HIV e all’AIDS, e dovrebbe essere considerata con maggiore attenzione”, ha osservato Frank Galvan, autore principale dello studio, in un comunicato stampa del 3 aprile sul rapporto.
La sessualità cristiana - La visione della Chiesa relativa al preservativo non si fonda sulla sua valenza a fini di prevenzione delle malattie. La sessualità, spiega il n. 2332 del Catechismo della Chiesa cattolica, esercita un’influenza sull’intera persona umana, fatta di corpo e anima. Essa concerne l’affettività, la capacità di amare e di procreare, e di intrecciare rapporti di comunione con altri.
La sessualità è veramente umana e personale quando è integrata in un rapporto da persona a persona; un rapporto che consiste nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, tra un uomo e una donna, osserva il Catechismo (n. 2337). Benedetto XVI ha affrontato il tema dell’AIDS anche in alcuni discorsi pronunciati di recente in occasione della presentazione delle credenziali dei diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Il 13 dicembre, rivolgendosi al nuovo ambasciatore della Namibia, Peter Hitjitevi Katjavivi, il Papa ha riconosciuto l’urgente necessità di arginare la diffusione delle infezioni.
“Assicuro il popolo del suo Paese che la Chiesa continuerà ad assistere quanti soffrono di AIDS e a sostenere le loro famiglie”, ha affermato il Papa. Il contributo della Chiesa all’obiettivo di sradicare l’AIDS, ha proseguito il Pontefice, “non può che trarre ispirazione dalla concezione cristiana dell’amore e della sessualità umani”. Tale visione considera il matrimonio come comunione di amore totale, reciproca ed esclusiva fra un uomo e una donna, ha spiegato Benedetto XVI.
Lo stesso giorno, di fronte al nuovo ambasciatore del Gambia presso la Santa Sede, Elizabeth Ya Eli Harding, il Papa ha ribadito che la medicina e, in particolare, l’educazione hanno un importante ruolo da svolgere nella lotta all’AIDS: “Una condotta sessualmente promiscua è la causa radicale di numerosi mali morali e fisici e deve essere superata promuovendo la cultura della fedeltà coniugale e dell’integrità morale”.
Preservativo panacea contro le infezioni sessuali? Campagne di studio ottengono risultato opposto
dal sito dei PapaBoys
ROMA - La questione della distribuzione di massa dei preservativi è nuovamente sulle prime pagine della stampa. Nei giorni precedenti alle celebrazioni del carnevale in Brasile, le autorità hanno annunciato la distribuzione gratuita di 19,5 milioni di profilattici, secondo quanto riportato dalla Reuters il 28 gennaio. Recentemente, una rivista britannica di medicina, il Lancet, ha criticato la Chiesa per la sua opposizione all’uso dei preservativi. Un editoriale pubblicato sull’edizione del 26 gennaio rimprovera a Benedetto XVI di non voler cambiare la linea della Chiesa per consentire ai cattolici di far uso del preservativo al fine di evitare l’eventuale contagio con il virus dell’HIV/AIDS. Tuttavia, il presupposto secondo cui il preservativo sarebbe la soluzione contro le malattie sessualmente trasmesse si sta dimostrando sempre di più infondato. Il British Medical Journal ha pubblicato, nell’edizione del 26 gennaio, un forum sulla questione del preservativo, in cui figurano articoli sia a favore sia contro.
Ma anche gli articoli di Markus Steiner e Willard Cates, a favore dei preservativi, ammettono che, in aggiunta all’uso del profilattico, è necessario adottare comportamenti volti ad evitare o ridurre i rischi di contagio. Fra tali misure gli autori citano la tardiva iniziazione all’attività sessuale e la fedeltà reciproca dei partner. Fra gli autori “contro” vi è Stephen Genuis che scrive chiaramente: “Anzitutto, il preservativo non può essere considerato come la risposta definitiva al contagio sessuale perché esso assicura una protezione insufficiente contro la trasmissione di molte malattie comuni”. Genius sottolinea anche che: “La ricerca epidemiologica ha dimostrato ripetutamente che la diffusa familiarità con il preservativo e la maggiore consapevolezza sui rischi infettivi di fatto non comporta l’adozione di scelte sessuali più sicure”.
Rincarare la dose - Di fronte a simili constatazioni, sui limiti delle campagne di educazione sessuale e di diffusione del preservativo, la reazione spesso è quella di rincarare la dose. Un classico esempio di questo tipo di reazione viene dall’Australia, dove risulta che il 60% delle donne che hanno avuto gravidanze non programmate stavano facendo uso della pillola contraccettiva o del preservativo. Secondo il servizio apparso il 30 gennaio sul quotidiano Age di Melbourne, le organizzazioni per la pianificazione familiare rispondono a tale situazione promuovendo un rafforzamento dei programmi di educazione sessuale.
Tuttavia, nel citato articolo apparso sul British Medical Journal, Genius sottolinea l’inefficacia di tale strategia. Con riferimento al preservativo e alle campagne di “sesso sicuro”, l’autore afferma: “L’incessante aumento della diffusione di malattie sessualmente trasmesse, a fronte di un livello senza precedenti nell’educazione e promozione dell’uso del preservativo, dimostra tutti i limiti di tali politiche”. “In molti studi di ampia portata, gli sforzi concertati, diretti a promuovere l’uso del preservativo, hanno regolarmente mancato di arginare i tassi di infezioni sessualmente trasmesse, persino nei Paesi con programmi avanzati di educazione sessuale come il Canada, la Svezia e la Svizzera”.
D’altra parte, in quei Paesi come la Tailandia e la Cambogia in cui le infezioni sessualmente trasmesse sono diminuite, un attento esame dei dati rivela che le cause di tale riduzione sono da attribuire non al maggior uso del preservativo, ma a cambiamenti nei comportamenti sessuali, afferma Genius. “Moltissimi adolescenti, bombardati da un’educazione sessuale incentrata sull’uso del profilattico, non sono in grado di soddisfare le proprie esigenze umane fondamentali e finiscono per contrarre malattie a trasmissione sessuale”, conclude Genius.
L’esperienza in Africa - Un libro pubblicato lo scorso anno critica l’eccessivo affidamento al preservativo nella lotta all’AIDS in Africa. L’autrice del libro “The Invisible Cure: Africa, The West, And the Fight Against AIDS”, (Farrar, Straus, and Giroux), Helen Epstein, esprime riserve anche per le campagne sull’astinenza sessuale, ma ammette in ogni caso l’importanza del cambiamento nel comportamento sessuale. Nel tentativo di trovare le cause dell’alto tasso di infezione in Africa, i ricercatori hanno riscontrato che una percentuale relativamente elevata di uomini e donne africani intrattenevano contemporaneamente più rapporti sessuali. Rispetto alla diffusa monogamia dei Paesi occidentali, i rapporti multipli aumentano notevolmente il rischio di una rapida diffusione delle malattie sessuali.
Epstein critica fortemente le campagne contro l’AIDS, gestite dagli occidentali. Organizzazioni come Population Services International, Family Health International e Marie Stopes International, sono state tra le prime a promuovere il controllo demografico, osserva l’autrice. Più di recente, la loro attività di campagne promozionali dell’uso del preservativo si sono rivelate delle forme di pubblicità che di fatto hanno promosso la diffusione dell’attività sessuale, e in alcuni casi hanno “sconfinato nella misoginia”, aggiunge Epstein. Il messaggio che da queste campagne viene fuori è che il sesso casuale non è un problema fintanto che si usa il preservativo. In più, oltre a promuovere comportamenti che di fatto alimentano il contagio, secondo Epstein, esse spesso contrastano con le sensibilità locali in tema di morale e rispetto della persona.
Cambiare il comportamento - Epstein critica le organizzazioni e le Nazioni Unite anche per la loro tendenza a minimizzare l’importanza dell’infedeltà nella diffusione dell’AIDS. Al riguardo l’autrice racconta la sua esperienza in cui, ad una conferenza internazionale sull’AIDS che si è svolta a Bangkok, i ricercatori che presentavano dati sull’importanza della fedeltà nella prevenzione contro il contagio sono stati “praticamente fischiati via dal palco”. Anche un altro libro pubblicato lo scorso anno, “The AIDS Pandemic: The Collision of Epidemiology With Political Correctness” (Radcliffe Publishing), sottolinea la necessità di promuovere il cambiamento nel comportamento sessuale, piuttosto che fare esclusivo affidamento sull’uso del preservativo.
James Chin, professore di epidemiologia presso l’Università della California a Berkeley, dedica un’ampia parte del libro ad un’analisi sul numero delle persone infette dal virus dell’AIDS, sottolineando come spesso i dati sono ampiamente gonfiati. Chin sostiene anche che i timori di un contagio su larga scala nella popolazione sono infondati, dato che il comportamento della maggioranza delle persone non espone a cadere vittima dell’AIDS. Il rischio maggiore del contagio si colloca fra gli omosessuali e fra coloro che hanno partner molteplici e simultanei, spiega l’autore.
Il contributo positivo che la religione può dare nel processo di cambiamento del comportamento sessuale è stato riconosciuto in uno studio della RAND Corporation, pubblicato lo scorso anno. Le persone sieropositive che affermano di considerare la religione come una parte importante della propria vita risultano avere meno partner sessuali e minori probabilità di diffondere il virus, secondo questo studio dal titolo “Religiosity, Denominational Affiliation and Sexual Behaviors Among People with HIV in the U.S.”. “La religiosità è una risorsa poco usata nella lotta all’HIV e all’AIDS, e dovrebbe essere considerata con maggiore attenzione”, ha osservato Frank Galvan, autore principale dello studio, in un comunicato stampa del 3 aprile sul rapporto.
La sessualità cristiana - La visione della Chiesa relativa al preservativo non si fonda sulla sua valenza a fini di prevenzione delle malattie. La sessualità, spiega il n. 2332 del Catechismo della Chiesa cattolica, esercita un’influenza sull’intera persona umana, fatta di corpo e anima. Essa concerne l’affettività, la capacità di amare e di procreare, e di intrecciare rapporti di comunione con altri.
La sessualità è veramente umana e personale quando è integrata in un rapporto da persona a persona; un rapporto che consiste nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, tra un uomo e una donna, osserva il Catechismo (n. 2337). Benedetto XVI ha affrontato il tema dell’AIDS anche in alcuni discorsi pronunciati di recente in occasione della presentazione delle credenziali dei diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Il 13 dicembre, rivolgendosi al nuovo ambasciatore della Namibia, Peter Hitjitevi Katjavivi, il Papa ha riconosciuto l’urgente necessità di arginare la diffusione delle infezioni.
“Assicuro il popolo del suo Paese che la Chiesa continuerà ad assistere quanti soffrono di AIDS e a sostenere le loro famiglie”, ha affermato il Papa. Il contributo della Chiesa all’obiettivo di sradicare l’AIDS, ha proseguito il Pontefice, “non può che trarre ispirazione dalla concezione cristiana dell’amore e della sessualità umani”. Tale visione considera il matrimonio come comunione di amore totale, reciproca ed esclusiva fra un uomo e una donna, ha spiegato Benedetto XVI.
Lo stesso giorno, di fronte al nuovo ambasciatore del Gambia presso la Santa Sede, Elizabeth Ya Eli Harding, il Papa ha ribadito che la medicina e, in particolare, l’educazione hanno un importante ruolo da svolgere nella lotta all’AIDS: “Una condotta sessualmente promiscua è la causa radicale di numerosi mali morali e fisici e deve essere superata promuovendo la cultura della fedeltà coniugale e dell’integrità morale”.