La moratoria necessaria e il ritardo legislativo
gio 10 gen 2008
di Giovanni Mulazzani
La proposta di una moratoria universale sull'aborto avanzata dal direttore de "IL FOGLIO", Giuliano Ferrara, dalle colonne del quotidiano il 19 dicembre 2007, ha suscitato un acceso dibattito, qualche polemica, ma soprattutto da un lato inaspettati consensi e dall'altro ingiustificati attacchi.
Anzitutto la proposta lanciata da Ferrara ha guadagnato però un indiscusso primato e un oggettivo merito. In primo luogo quello di avere smascherato innanzi all'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni l'ipocrisia e l'ambiguità che si celano al di là di un evento considerato epocale nella storia della civiltà umana politica, nonostante il suo valore giuridico sia meramente esortativo e dunque in suscettibile di applicazione coercitiva, quale l'approvazione da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, di una moratoria internazionale sulla pena di morte, promossa e sostenuta dall'Italia. L'ipocrisia e l'ambiguità consistono, infatti, nella violazione del più elementare principio di ragione. Infatti per ogni pena di morte comminata da un tribunale in nome della legge, avvengono migliaia, milioni di aborti comminati a esseri umani viventi, in nome di un edonistico principio di libertà e di un egoistico principio di salute nonché in nome di un ideologico principio di autodeterminazione della donna divenuto ad oggi ormai anacronistico. L'ipocrisia e l'ambiguità risiedono dunque nella decisione dell'Assemblea generale dell'ONU di condannare la pena di morte ritenuta "illegale" dalla maggioranza delle legislazioni moderne, comminata da un tribunale ad un essere umano colpevole, ignorando invece un'altra forma di pena di morte identica ancorché affine alla prima dal punto di vista degli effetti, e tuttavia ritenuta "legale" dalla maggioranza delle legislazioni europee e mondiali moderne, comminata dal potere del desiderio e dell'ideologia ad un essere umano innocente.
L'Italia che ha profuso impegno e impegnato credibilità a livello internazionale sollecitando l'approvazione della moratoria internazionale sulla pena di morte, conseguendo un primato significativo sia culturalmente che politicamente, abbia dunque la stessa capacità e lo stesso coraggio di assumersi la responsabilità di mandare un messaggio, di indicare un principio culturale chiaro, consapevole e responsabile in tema di aborto, facendosi artefice di una rivoluzione culturale in senso proprio ad esempio stabilendo i limiti oltre i quali non è più possibile parlare di aborto terapeutico. Per questa e per altre ragioni è significativo ed opportuno l'appello del Card. Camillo Ruini, il quale accogliendo la proposta di una moratoria universale sull'aborto, ne ha sottolineato l'importanza culturale e ne ha parimenti riconosciuto la funzione esortativa e tendente all'applicazione piena, coerente ed omogenea della legge n.194/1978, disciplinante l'interruzione volontaria di gravidanza, secondo i relativi principi originari ed ispiratori. Le legislazioni abortiste moderne, in particolare quella italiana hanno infatti di fatto avvallato la pratica dell'aborto, quale strumento di controllo delle nascite, violando la ratio legis della legge 194 la quale esclude categoricamente quest'ultima ipotesi, ha tollerato l'insinuazione di derive e pratiche eugenetiche e selettive, e si è rivelata macroscopicamente inadempiente e inadeguata rispetto alla prima parte della stessa legge che prevede un sostegno concreto e fattivo alla maternità. Inoltre, oggi infatti la comunità scientifica internazionale è concorde ed unanime nel ritenere che sussistano oggettive e maggiori possibilità di sopravvivenza per i bambini prematuri, condizioni assolutamente impensabili negli anni in cui fu varata la legge 194. Occorre dunque, alla luce del progresso intervenuto nell'ambito delle tecniche e delle terapie nonché delle scoperte perfezionate in ambito medico, che il Parlamento ne prenda atto, e promuova iniziative legislative finalizzate a rivedere le linee guida applicative della legge 194, al fine di un'applicazione integrale e coerente della medesima con le sue premesse, quali innanzitutto la difesa della salute della donna, la tutela del diritto alla vita del nascituro, l'attività di sostegno a livello psicologico e sociale alle madri in difficoltà, infine l'offerta di alternative concrete alla soluzione estrema dell'aborto. L'esperienza vissuta in questi anni in alcune strutture sanitarie in Lombardia, risulta essere a questo proposito eloquente e significativa innanzitutto dal punto di vista di un'applicazione coerente inserita in un quadro più ampio di scoperte scientifiche, non ideologica né tantomeno ispirata ad un principio confessionale. Alcuni ospedali lombardi tra i più qualificati, ad esempio l'Ospedale Maggiore Policlinico "Mangiagalli e Regina Elena" di Milano, hanno adottato provvedimenti sperimentali, perlopiù protocolli di autodisciplina, che presto saranno estesi a tutte le strutture sanitarie regionali, su proposta del Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Alla luce dei progressi conseguiti in ambito medico e sanitario sul tema della tutela della vita, le anzidette strutture sanitarie hanno avviato un'azione di tutela della vita del nascituro fin dal suo concepimento, di assistenza all'attività medica e di sostegno concreto alla maternità in ordine all'applicazione della legge 194. E' stato, infatti, fissato un termine più restrittivo (la 22^ settimana) alla possibilità di ricorrere l'aborto terapeutico, subordinando l'eventuale interruzione di gravidanza ad un parere non vincolante di un equipe di specialisti, tra i quali anche un operatore psichiatrico, è stato infine apposto un limite alla possibilità di ricorrere all'aborto selettivo nell'ambito di una gravidanza gemellare in assenza di oggettivi problemi fisici o psichici della paziente. L'esperienza realizzata in questo campo in Lombardia, potrebbe pertanto costituire un modello di riferimento applicativo della legge 194, in attesa di un intervento organico e generale da parte del Parlamento, oggi più che mai urgente e necessario, in ordine alla possibilità di ricercare soluzioni il più possibile condivise tendenti a riconoscere l'importanza della tutela della vita, fin dal suo concepimento, colmando lacune normative evidenti.
gio 10 gen 2008
di Giovanni Mulazzani
La proposta di una moratoria universale sull'aborto avanzata dal direttore de "IL FOGLIO", Giuliano Ferrara, dalle colonne del quotidiano il 19 dicembre 2007, ha suscitato un acceso dibattito, qualche polemica, ma soprattutto da un lato inaspettati consensi e dall'altro ingiustificati attacchi.
Anzitutto la proposta lanciata da Ferrara ha guadagnato però un indiscusso primato e un oggettivo merito. In primo luogo quello di avere smascherato innanzi all'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni l'ipocrisia e l'ambiguità che si celano al di là di un evento considerato epocale nella storia della civiltà umana politica, nonostante il suo valore giuridico sia meramente esortativo e dunque in suscettibile di applicazione coercitiva, quale l'approvazione da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, di una moratoria internazionale sulla pena di morte, promossa e sostenuta dall'Italia. L'ipocrisia e l'ambiguità consistono, infatti, nella violazione del più elementare principio di ragione. Infatti per ogni pena di morte comminata da un tribunale in nome della legge, avvengono migliaia, milioni di aborti comminati a esseri umani viventi, in nome di un edonistico principio di libertà e di un egoistico principio di salute nonché in nome di un ideologico principio di autodeterminazione della donna divenuto ad oggi ormai anacronistico. L'ipocrisia e l'ambiguità risiedono dunque nella decisione dell'Assemblea generale dell'ONU di condannare la pena di morte ritenuta "illegale" dalla maggioranza delle legislazioni moderne, comminata da un tribunale ad un essere umano colpevole, ignorando invece un'altra forma di pena di morte identica ancorché affine alla prima dal punto di vista degli effetti, e tuttavia ritenuta "legale" dalla maggioranza delle legislazioni europee e mondiali moderne, comminata dal potere del desiderio e dell'ideologia ad un essere umano innocente.
L'Italia che ha profuso impegno e impegnato credibilità a livello internazionale sollecitando l'approvazione della moratoria internazionale sulla pena di morte, conseguendo un primato significativo sia culturalmente che politicamente, abbia dunque la stessa capacità e lo stesso coraggio di assumersi la responsabilità di mandare un messaggio, di indicare un principio culturale chiaro, consapevole e responsabile in tema di aborto, facendosi artefice di una rivoluzione culturale in senso proprio ad esempio stabilendo i limiti oltre i quali non è più possibile parlare di aborto terapeutico. Per questa e per altre ragioni è significativo ed opportuno l'appello del Card. Camillo Ruini, il quale accogliendo la proposta di una moratoria universale sull'aborto, ne ha sottolineato l'importanza culturale e ne ha parimenti riconosciuto la funzione esortativa e tendente all'applicazione piena, coerente ed omogenea della legge n.194/1978, disciplinante l'interruzione volontaria di gravidanza, secondo i relativi principi originari ed ispiratori. Le legislazioni abortiste moderne, in particolare quella italiana hanno infatti di fatto avvallato la pratica dell'aborto, quale strumento di controllo delle nascite, violando la ratio legis della legge 194 la quale esclude categoricamente quest'ultima ipotesi, ha tollerato l'insinuazione di derive e pratiche eugenetiche e selettive, e si è rivelata macroscopicamente inadempiente e inadeguata rispetto alla prima parte della stessa legge che prevede un sostegno concreto e fattivo alla maternità. Inoltre, oggi infatti la comunità scientifica internazionale è concorde ed unanime nel ritenere che sussistano oggettive e maggiori possibilità di sopravvivenza per i bambini prematuri, condizioni assolutamente impensabili negli anni in cui fu varata la legge 194. Occorre dunque, alla luce del progresso intervenuto nell'ambito delle tecniche e delle terapie nonché delle scoperte perfezionate in ambito medico, che il Parlamento ne prenda atto, e promuova iniziative legislative finalizzate a rivedere le linee guida applicative della legge 194, al fine di un'applicazione integrale e coerente della medesima con le sue premesse, quali innanzitutto la difesa della salute della donna, la tutela del diritto alla vita del nascituro, l'attività di sostegno a livello psicologico e sociale alle madri in difficoltà, infine l'offerta di alternative concrete alla soluzione estrema dell'aborto. L'esperienza vissuta in questi anni in alcune strutture sanitarie in Lombardia, risulta essere a questo proposito eloquente e significativa innanzitutto dal punto di vista di un'applicazione coerente inserita in un quadro più ampio di scoperte scientifiche, non ideologica né tantomeno ispirata ad un principio confessionale. Alcuni ospedali lombardi tra i più qualificati, ad esempio l'Ospedale Maggiore Policlinico "Mangiagalli e Regina Elena" di Milano, hanno adottato provvedimenti sperimentali, perlopiù protocolli di autodisciplina, che presto saranno estesi a tutte le strutture sanitarie regionali, su proposta del Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Alla luce dei progressi conseguiti in ambito medico e sanitario sul tema della tutela della vita, le anzidette strutture sanitarie hanno avviato un'azione di tutela della vita del nascituro fin dal suo concepimento, di assistenza all'attività medica e di sostegno concreto alla maternità in ordine all'applicazione della legge 194. E' stato, infatti, fissato un termine più restrittivo (la 22^ settimana) alla possibilità di ricorrere l'aborto terapeutico, subordinando l'eventuale interruzione di gravidanza ad un parere non vincolante di un equipe di specialisti, tra i quali anche un operatore psichiatrico, è stato infine apposto un limite alla possibilità di ricorrere all'aborto selettivo nell'ambito di una gravidanza gemellare in assenza di oggettivi problemi fisici o psichici della paziente. L'esperienza realizzata in questo campo in Lombardia, potrebbe pertanto costituire un modello di riferimento applicativo della legge 194, in attesa di un intervento organico e generale da parte del Parlamento, oggi più che mai urgente e necessario, in ordine alla possibilità di ricercare soluzioni il più possibile condivise tendenti a riconoscere l'importanza della tutela della vita, fin dal suo concepimento, colmando lacune normative evidenti.