Tratto da Avvenire del 30 dicembre 2007
Quando si manifestano credenze e convinzioni incompatibili tra loro, in una democrazia laica non si «decidono verità sull’uomo, ma (soltanto) le procedure democratiche che minimizzano il dissenso».
Questa la conclusione di un articolo su 'La Stampa', secondo il quale riconoscere il diritto della Chiesa di esprimersi nella sfera pubblica vorrebbe dire che «il pubblico debba essere gestito in esclusiva secondo le direttive della Chiesa». Davvero una democrazia laica deve limitarsi a scrivere regole procedurali e dichiarare che non esistono verità sull’uomo? Se così fosse, ogni evoluzione storica sarebbe votata al fallimento, e il faticoso cammino per affermare i diritti umani compiuto nell’ultimo secolo sarebbe inutile e sbagliato.
Comunque si leggano, i più solenni documenti normativi contengono tante verità sull’uomo. La celebre definizione della Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 ci dice che tutti gli uomini sono stati creati uguali e che il Creatore li ha dotati di alcuni diritti inviolabili fra i quali la vita, la libertà, il perseguimento della felicità. Altre Carte sui diritti umani affermano che la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e che ad essa deve essere assicurata la protezione e l’assistenza più ampia. Oppure che la maternità è una funzione sociale, e che i genitori hanno responsabilità comuni nella cura dei figli per assicurare il loro sviluppo. E poi ancora, che la fedeltà è un vincolo che lega marito e moglie, che l’educazione familiare è essenziale per la formazione e la crescita delle nuove generazioni.
Se la democrazia moderna non poggiasse su questi e tanti altri valori, sarebbe una democrazia senz’anima. Non saprebbe dire altro ai cittadini se non che devono vivere nella solitudine, senza verità e senza speranza, perché la società non può far altro che governare individui che non possono sapere nulla di se stessi, della propria natura, del proprio destino. Una società senza passato, e priva di quelle tensioni etiche che ovunque preparano il futuro.
Singolarmente, è toccato a Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica laica più intransigente, fare una confessione sincera, e indicare un cammino diverso. Per Sarkozy, lo Stato ha interesse alla riflessione morale ispirata alle convinzioni religiose. Anzitutto perché la morale laica rischia sempre di esaurirsi o di trasformarsi in fanatismo quando poggia su una speranza che colma l’aspirazione all’infinito; «poi e soprattutto perché una morale sprovvista di legami con il trascendente è maggiormente esposta alle contingenze storiche e in definitiva all’arrendevolezza».
Queste considerazioni potrebbero spingere più avanti il dibattito anche in Italia.
Potrebbero eliminare la paura che oggi caratterizza alcune correnti laiche quando temono di confrontarsi con determinate posizioni e proposte in materia di famiglia, di difesa della vita, e utilizzano il concetto di laicità per negare il diritto dei credenti ad agire limpidamente nella sfera pubblica. Ma la società, la democrazia, lo Stato hanno bisogno delle idee di tutti, perché su queste idee si discuta, ci si confronti nel merito per scegliere poi liberamente le decisioni da adottare.
Sarkozy ha aggiunto che la laicità non può essere negazione del passato. Non ha il potere di togliere a un Paese le sue radici cristiane, e quando l’ha fatto ha provocato seri danni, dal momento che strappare le radici vuol dire indebolire l’identità nazionale e inaridire i rapporti sociali che hanno bisogno di simboli e di memoria.
Ricevere lezioni di laicità da un presidente francese potrebbe sembrare quasi uno scherzo della storia. Ma non è così. È proprio da una esperienza che ha cercato di cancellare l’anima più profonda della società, inseguendo il miraggio di uno Stato freddo e procedurale, senza chinarsi sulla realtà e complessità dell’uomo, che è venuta la disillusione più grande. La disillusione di chi è stato sul punto di trovarsi in un deserto, e vuole uscirne.
Guardando Sarkozy si può superare un’idea di laicità che nega il diritto dei credenti ad agire nella sfera pubblica
Quando si manifestano credenze e convinzioni incompatibili tra loro, in una democrazia laica non si «decidono verità sull’uomo, ma (soltanto) le procedure democratiche che minimizzano il dissenso».
Questa la conclusione di un articolo su 'La Stampa', secondo il quale riconoscere il diritto della Chiesa di esprimersi nella sfera pubblica vorrebbe dire che «il pubblico debba essere gestito in esclusiva secondo le direttive della Chiesa». Davvero una democrazia laica deve limitarsi a scrivere regole procedurali e dichiarare che non esistono verità sull’uomo? Se così fosse, ogni evoluzione storica sarebbe votata al fallimento, e il faticoso cammino per affermare i diritti umani compiuto nell’ultimo secolo sarebbe inutile e sbagliato.
Comunque si leggano, i più solenni documenti normativi contengono tante verità sull’uomo. La celebre definizione della Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 ci dice che tutti gli uomini sono stati creati uguali e che il Creatore li ha dotati di alcuni diritti inviolabili fra i quali la vita, la libertà, il perseguimento della felicità. Altre Carte sui diritti umani affermano che la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e che ad essa deve essere assicurata la protezione e l’assistenza più ampia. Oppure che la maternità è una funzione sociale, e che i genitori hanno responsabilità comuni nella cura dei figli per assicurare il loro sviluppo. E poi ancora, che la fedeltà è un vincolo che lega marito e moglie, che l’educazione familiare è essenziale per la formazione e la crescita delle nuove generazioni.
Se la democrazia moderna non poggiasse su questi e tanti altri valori, sarebbe una democrazia senz’anima. Non saprebbe dire altro ai cittadini se non che devono vivere nella solitudine, senza verità e senza speranza, perché la società non può far altro che governare individui che non possono sapere nulla di se stessi, della propria natura, del proprio destino. Una società senza passato, e priva di quelle tensioni etiche che ovunque preparano il futuro.
Singolarmente, è toccato a Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica laica più intransigente, fare una confessione sincera, e indicare un cammino diverso. Per Sarkozy, lo Stato ha interesse alla riflessione morale ispirata alle convinzioni religiose. Anzitutto perché la morale laica rischia sempre di esaurirsi o di trasformarsi in fanatismo quando poggia su una speranza che colma l’aspirazione all’infinito; «poi e soprattutto perché una morale sprovvista di legami con il trascendente è maggiormente esposta alle contingenze storiche e in definitiva all’arrendevolezza».
Queste considerazioni potrebbero spingere più avanti il dibattito anche in Italia.
Potrebbero eliminare la paura che oggi caratterizza alcune correnti laiche quando temono di confrontarsi con determinate posizioni e proposte in materia di famiglia, di difesa della vita, e utilizzano il concetto di laicità per negare il diritto dei credenti ad agire limpidamente nella sfera pubblica. Ma la società, la democrazia, lo Stato hanno bisogno delle idee di tutti, perché su queste idee si discuta, ci si confronti nel merito per scegliere poi liberamente le decisioni da adottare.
Sarkozy ha aggiunto che la laicità non può essere negazione del passato. Non ha il potere di togliere a un Paese le sue radici cristiane, e quando l’ha fatto ha provocato seri danni, dal momento che strappare le radici vuol dire indebolire l’identità nazionale e inaridire i rapporti sociali che hanno bisogno di simboli e di memoria.
Ricevere lezioni di laicità da un presidente francese potrebbe sembrare quasi uno scherzo della storia. Ma non è così. È proprio da una esperienza che ha cercato di cancellare l’anima più profonda della società, inseguendo il miraggio di uno Stato freddo e procedurale, senza chinarsi sulla realtà e complessità dell’uomo, che è venuta la disillusione più grande. La disillusione di chi è stato sul punto di trovarsi in un deserto, e vuole uscirne.
Guardando Sarkozy si può superare un’idea di laicità che nega il diritto dei credenti ad agire nella sfera pubblica