Tratto dal sito RAGIONPOLITICA.it il 29 dicembre 2007
«Anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell'esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa».
Questa la riflessione centrale di Papa Benedetto nella preghiera dell'Angelus celebrata nella giornata di Santo Stefano, primo martire. La tematica del martirio cristiano, così drammaticamente attuale, ancorché non sufficientemente trattata dal circuito mediatico, è stata per l'occasione approfondita dal Pontefice, che ha ricordato come «il legame profondo che unisce Cristo al suo primo martire Stefano è la Carità divina: lo stesso Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare se stesso e a farsi obbediente fino alla morte di croce, ha poi spinto gli apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo».
E ancora: «Il martirio cristiano, così attuale anche nel nostro tempo, è esclusivamente un atto d'amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori». Un segno di questo «amore» è proprio la preghiera verso i «nemici» e i «persecutori», vissuto da tanti «figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli». Tutto questo rende molto diverso il martirio cristiano da quello dei kamikaze o di una qualunque vittima dei propri ideali. Citando la sua ultima enciclica, Spe Salvi, il Papa ha ricordato l'esperienza del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin (morto nel 1857), in cui «la sofferenza è trasformata in gioia mediante la forza della speranza che proviene dalla fede». «Il martire cristiano - ha sottolineato Benedetto XVI - come Cristo e mediante l'unione con Lui, accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un'azione d'amore. Quello che dall'esterno è violenza brutale, dall'interno diventa un atto d'amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Il martire cristiano attualizza la vittoria dell'amore sull'odio e sulla morte, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità».
Nella sua riflessione il Pontefice, pur non citando luoghi o situazioni nello specifico, pone quindi l'accento su un dramma, quale quello del martirio dei cristiani, che si consuma da troppi anni in numerose parti del pianeta. Va infatti ricordato che dall'America Latina all'Africa, all'Asia, ed in particolare nei Paesi fondamentalisti islamici e nella Cina comunista, i cristiani, solo per il fatto di professare la propria fede, subiscono quotidianamente ingiustizie, vessazioni, persecuzioni. All'elenco si deve purtroppo aggiungere anche un Paese come l'India, dal quale, proprio in questi giorni, giungono sotto questo aspetto le notizie più inquietanti, che meritano un approfondimento. A Natale, nello Stato dell'Orissa, tre persone sono state uccise; numerose chiese e case parrocchiali attaccate; decine di feriti, molti dei quali in gravissime condizioni; un orfanotrofio cristiano vandalizzato; treni bloccati per ore; auto della polizia bruciate: «E' il bilancio provvisorio - scrive la documentata agenzia Asia News - di un attacco a tutto campo dell'organizzazione fondamentalista indù Vishva Hindu Parishad (Vhp) cominciato alla vigilia di Natale e continuato nei giorni seguenti. Dal 24 dicembre ad oggi i gruppi del Vhp hanno assaltato, armi da fuoco alla mano, almeno venti istituzioni cristiane in Orissa. L'ondata di violenze ha portato alla distruzione di diciotto tra chiese e cappelle, quattro conventi, otto ostelli, quindici negozi di cristiani». Secondo il Global Council of Indian Churches, presente nell'Orissa, «trecento case di cristiani sono state bruciate e tre fedeli sono morti in un incendio a Barakamal».
In sostanza, i nazionalisti indù del Vhp avrebbero scatenato le violenze per bloccare le conversioni al cristianesimo, accusando le chiese cristiane di proselitismo. Oltre al distretto di Phulbani (in cui vivono circa 100.000 cristiani, su una popolazione di 650.000 abitanti), le violenze si stanno diffondendo anche ai distretti vicini di Boudh, Gajapati, Koraput e Kalahandi. I feriti sarebbero decine e almeno tre di loro starebbero lottando con la morte. Gli scontri sono continuati anche nella giornata di Natale e in quella di Santo Stefano, quando una casa dei Missionari della Carità (il ramo maschile dell'ordine di Madre Teresa) è stata attaccata dai fondamentalisti indù a Kandhamal. Stessa sorte ha subìto il convento di suore di San Giuseppe di Annecy. L'attacco è avvenuto in piena notte, nonostante il coprifuoco che regna nella zona. Le suore e il sacerdote della missione sono fuggiti e sono nascosti nella foresta che circonda l'area. L'Orissa è uno Stato dove il fondamentalismo indù è molto forte. Dal 1968 vi è una legge anti-conversione, che blocca la missione dei cristiani. Negli ultimi anni, in questa zona dell'India, numerosissime chiese sono state incendiate e distrutte da fanatici indù. Nel 1999 il missionario australiano Graham Staines e i suoi due figli sono stati uccisi e bruciati nella loro auto. Sempre nel '99 è stato ucciso anche un sacerdote cattolico, padre Arul Doss.
A commento dell'ennesima ondata di violenza contro i cristiani, si è levato però il monito di monsignor Thomas Thiruthalil, vescovo dell'Orissa: «Le forze fondamentaliste vogliono minacciare e terrorizzare i cristiani. Qui in Orissa i cristiani sono una minoranza e in larga parte poveri e marginalizzati. Nella persecuzione, la Chiesa è sempre cresciuta ed è ciò che avverrà anche qui. La Chiesa che cresce nell'amore e nell'unità ha la sua base nella fede segnata dalla sofferenza e dalla persecuzione. L'enciclica del Papa, Spe Salvi, ci giunge come un messaggio profetico».
«Anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell'esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa».
Questa la riflessione centrale di Papa Benedetto nella preghiera dell'Angelus celebrata nella giornata di Santo Stefano, primo martire. La tematica del martirio cristiano, così drammaticamente attuale, ancorché non sufficientemente trattata dal circuito mediatico, è stata per l'occasione approfondita dal Pontefice, che ha ricordato come «il legame profondo che unisce Cristo al suo primo martire Stefano è la Carità divina: lo stesso Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare se stesso e a farsi obbediente fino alla morte di croce, ha poi spinto gli apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo».
E ancora: «Il martirio cristiano, così attuale anche nel nostro tempo, è esclusivamente un atto d'amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori». Un segno di questo «amore» è proprio la preghiera verso i «nemici» e i «persecutori», vissuto da tanti «figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli». Tutto questo rende molto diverso il martirio cristiano da quello dei kamikaze o di una qualunque vittima dei propri ideali. Citando la sua ultima enciclica, Spe Salvi, il Papa ha ricordato l'esperienza del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin (morto nel 1857), in cui «la sofferenza è trasformata in gioia mediante la forza della speranza che proviene dalla fede». «Il martire cristiano - ha sottolineato Benedetto XVI - come Cristo e mediante l'unione con Lui, accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un'azione d'amore. Quello che dall'esterno è violenza brutale, dall'interno diventa un atto d'amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Il martire cristiano attualizza la vittoria dell'amore sull'odio e sulla morte, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità».
Nella sua riflessione il Pontefice, pur non citando luoghi o situazioni nello specifico, pone quindi l'accento su un dramma, quale quello del martirio dei cristiani, che si consuma da troppi anni in numerose parti del pianeta. Va infatti ricordato che dall'America Latina all'Africa, all'Asia, ed in particolare nei Paesi fondamentalisti islamici e nella Cina comunista, i cristiani, solo per il fatto di professare la propria fede, subiscono quotidianamente ingiustizie, vessazioni, persecuzioni. All'elenco si deve purtroppo aggiungere anche un Paese come l'India, dal quale, proprio in questi giorni, giungono sotto questo aspetto le notizie più inquietanti, che meritano un approfondimento. A Natale, nello Stato dell'Orissa, tre persone sono state uccise; numerose chiese e case parrocchiali attaccate; decine di feriti, molti dei quali in gravissime condizioni; un orfanotrofio cristiano vandalizzato; treni bloccati per ore; auto della polizia bruciate: «E' il bilancio provvisorio - scrive la documentata agenzia Asia News - di un attacco a tutto campo dell'organizzazione fondamentalista indù Vishva Hindu Parishad (Vhp) cominciato alla vigilia di Natale e continuato nei giorni seguenti. Dal 24 dicembre ad oggi i gruppi del Vhp hanno assaltato, armi da fuoco alla mano, almeno venti istituzioni cristiane in Orissa. L'ondata di violenze ha portato alla distruzione di diciotto tra chiese e cappelle, quattro conventi, otto ostelli, quindici negozi di cristiani». Secondo il Global Council of Indian Churches, presente nell'Orissa, «trecento case di cristiani sono state bruciate e tre fedeli sono morti in un incendio a Barakamal».
In sostanza, i nazionalisti indù del Vhp avrebbero scatenato le violenze per bloccare le conversioni al cristianesimo, accusando le chiese cristiane di proselitismo. Oltre al distretto di Phulbani (in cui vivono circa 100.000 cristiani, su una popolazione di 650.000 abitanti), le violenze si stanno diffondendo anche ai distretti vicini di Boudh, Gajapati, Koraput e Kalahandi. I feriti sarebbero decine e almeno tre di loro starebbero lottando con la morte. Gli scontri sono continuati anche nella giornata di Natale e in quella di Santo Stefano, quando una casa dei Missionari della Carità (il ramo maschile dell'ordine di Madre Teresa) è stata attaccata dai fondamentalisti indù a Kandhamal. Stessa sorte ha subìto il convento di suore di San Giuseppe di Annecy. L'attacco è avvenuto in piena notte, nonostante il coprifuoco che regna nella zona. Le suore e il sacerdote della missione sono fuggiti e sono nascosti nella foresta che circonda l'area. L'Orissa è uno Stato dove il fondamentalismo indù è molto forte. Dal 1968 vi è una legge anti-conversione, che blocca la missione dei cristiani. Negli ultimi anni, in questa zona dell'India, numerosissime chiese sono state incendiate e distrutte da fanatici indù. Nel 1999 il missionario australiano Graham Staines e i suoi due figli sono stati uccisi e bruciati nella loro auto. Sempre nel '99 è stato ucciso anche un sacerdote cattolico, padre Arul Doss.
A commento dell'ennesima ondata di violenza contro i cristiani, si è levato però il monito di monsignor Thomas Thiruthalil, vescovo dell'Orissa: «Le forze fondamentaliste vogliono minacciare e terrorizzare i cristiani. Qui in Orissa i cristiani sono una minoranza e in larga parte poveri e marginalizzati. Nella persecuzione, la Chiesa è sempre cresciuta ed è ciò che avverrà anche qui. La Chiesa che cresce nell'amore e nell'unità ha la sua base nella fede segnata dalla sofferenza e dalla persecuzione. L'enciclica del Papa, Spe Salvi, ci giunge come un messaggio profetico».