Da "AVVENIRE" del 24-08-2006
Al Meeting il tema del recupero in carcere
Un seme gettato oltre le sbarre
La detenzione è gestita e vissuta, secondo il dettato costituzionale,come un momento di rieducazione?
Giorgio Vittadini*
Anche quest'anno il Meeting porta alla ribalta dei numerosi visitatori che affollano la fiera e dell'opinione pubblica eventi che silenziosamente stanno cambiando la realtà sociale italiana. È il caso dell'incontro di questa mattina che mette a tema il lavoro nelle carceri. Si è parlato molto, non senza polemiche, dell'indulto. Come si sa, tra le ragioni di questo provvedimento, sollecitato persino da Giovanni Paolo II, c'è il sovraffollamento delle carceri italiane, ormai giunto a un livello davvero insopportabile.
Ragione sacrosanta, come sacrosanto è il provvedimento che dovrebbe favorire il reinserimento lavorativo dei detenuti predisposto dal ministro del Lavoro Damiano e dal ministro della Giustizia Mastella.
Purtroppo, molto minore è l'attenzione a quanto avviene durante la detenzione: è veramente gestita e vissuta, secondo il dettato costituzionale, come un momento di rieducazione e reinserimento dei detenuti? Cosa succede nella vita quotidiana nelle carceri? Nella drammatica condizione carceraria questa norma costituzionale viene, al di là delle intenzioni e della volontà delle autorità, spesso disattesa. Non per niente la recidiva sfiora ormai l'80%.
La speranza di un cambiamento generale nasce da tentativi coraggiosi che evidenziano che anche in carcere è possibile un percorso educativo, vero fattore di rinascita della persona.
Trai i protagonisti di questo tentativo, tanto necessario quanto poco praticato, la Cooperativa Giotto di Padova, nata da persone che vivono l'esperienza di Comunione e Liberazione. Nel 2001, con l'avvento della legge Smuraglia, la Cooperativa incomincia ad operare con una serie di attività, artigianali e non, all'interno del carcere: mensa, giardinaggio, attività per la moda, call center. Sono gli stessi carcerati a parlare dei risultati in un video che sarà trasmesso all'inizio dell'incontro: sono testimonianze che parlano di voglia di lavorare («può sembrare paradossale, ma proprio i detenuti reclamano tanto la necessità del lavoro dietro le sbarre»), di speranza («tornare a lavorare e ricevere manifestazioni di fiducia obbliga a rimettersi in gioco e a cercare di reimpostare la propria vita, perché rinascono delle speranze, che uno aveva quasi dimenticato») e del coraggio di riconoscere il proprio errore («occorre che, pur pagando quello che si deve pagare, ciascuno di noi abbia una prospettiva, perché, quando ci si rende conto del male fatto, non si vorrebbe più finire di scontare la propria pena»).
Testimonianze confermate da Salvatore Pirruccio, direttore della casa di reclusione di Padova: «È indubbio che il lavoro in carcere è il primo elemento con il quale si può ottenere il reinserimento sociale del detenuto».
Come nell'edizione 2005 del Meeting Passera e Siniscalco di fronte alle opere di formazione professionale per i ragazzi espulsi dalla scuola, così oggi Andreotti, Mastella e Pavarin (il magistrato di sorveglianza, che ha avuto e ha con gli altri magistrati di Padova il grandissimo coraggio di credere in questa avventura) ascolteranno e commenteranno questo tentativo. Nella speranza che questa e le altre rondini presenti nelle carceri italiane facciano primavera.
* presidente Fondazione per la Sussidiarietà
Al Meeting il tema del recupero in carcere
Un seme gettato oltre le sbarre
La detenzione è gestita e vissuta, secondo il dettato costituzionale,come un momento di rieducazione?
Giorgio Vittadini*
Anche quest'anno il Meeting porta alla ribalta dei numerosi visitatori che affollano la fiera e dell'opinione pubblica eventi che silenziosamente stanno cambiando la realtà sociale italiana. È il caso dell'incontro di questa mattina che mette a tema il lavoro nelle carceri. Si è parlato molto, non senza polemiche, dell'indulto. Come si sa, tra le ragioni di questo provvedimento, sollecitato persino da Giovanni Paolo II, c'è il sovraffollamento delle carceri italiane, ormai giunto a un livello davvero insopportabile.
Ragione sacrosanta, come sacrosanto è il provvedimento che dovrebbe favorire il reinserimento lavorativo dei detenuti predisposto dal ministro del Lavoro Damiano e dal ministro della Giustizia Mastella.
Purtroppo, molto minore è l'attenzione a quanto avviene durante la detenzione: è veramente gestita e vissuta, secondo il dettato costituzionale, come un momento di rieducazione e reinserimento dei detenuti? Cosa succede nella vita quotidiana nelle carceri? Nella drammatica condizione carceraria questa norma costituzionale viene, al di là delle intenzioni e della volontà delle autorità, spesso disattesa. Non per niente la recidiva sfiora ormai l'80%.
La speranza di un cambiamento generale nasce da tentativi coraggiosi che evidenziano che anche in carcere è possibile un percorso educativo, vero fattore di rinascita della persona.
Trai i protagonisti di questo tentativo, tanto necessario quanto poco praticato, la Cooperativa Giotto di Padova, nata da persone che vivono l'esperienza di Comunione e Liberazione. Nel 2001, con l'avvento della legge Smuraglia, la Cooperativa incomincia ad operare con una serie di attività, artigianali e non, all'interno del carcere: mensa, giardinaggio, attività per la moda, call center. Sono gli stessi carcerati a parlare dei risultati in un video che sarà trasmesso all'inizio dell'incontro: sono testimonianze che parlano di voglia di lavorare («può sembrare paradossale, ma proprio i detenuti reclamano tanto la necessità del lavoro dietro le sbarre»), di speranza («tornare a lavorare e ricevere manifestazioni di fiducia obbliga a rimettersi in gioco e a cercare di reimpostare la propria vita, perché rinascono delle speranze, che uno aveva quasi dimenticato») e del coraggio di riconoscere il proprio errore («occorre che, pur pagando quello che si deve pagare, ciascuno di noi abbia una prospettiva, perché, quando ci si rende conto del male fatto, non si vorrebbe più finire di scontare la propria pena»).
Testimonianze confermate da Salvatore Pirruccio, direttore della casa di reclusione di Padova: «È indubbio che il lavoro in carcere è il primo elemento con il quale si può ottenere il reinserimento sociale del detenuto».
Come nell'edizione 2005 del Meeting Passera e Siniscalco di fronte alle opere di formazione professionale per i ragazzi espulsi dalla scuola, così oggi Andreotti, Mastella e Pavarin (il magistrato di sorveglianza, che ha avuto e ha con gli altri magistrati di Padova il grandissimo coraggio di credere in questa avventura) ascolteranno e commenteranno questo tentativo. Nella speranza che questa e le altre rondini presenti nelle carceri italiane facciano primavera.
* presidente Fondazione per la Sussidiarietà