Da "AVVENIRE"
Mattutino a cura di G. Ravasi
24 Agosto 2006
IL BUONUMORE
Un predicatore, al termine di un’interminabile omelia, si rivolge retoricamente ai fedeli: «Fratelli miei, che altro potrei dirvi?». Una voce dal fondo della chiesa risponde prontamente: «Amen!».
«Padre, mi accuso di guardarmi allo specchio molte volte al giorno e di trovarmi bella…». «Non angustiarti, figliola: non è un peccato, è un errore».
Siamo nel tempo delle vacanze e abbiamo voluto infrangere la seriosità delle nostre riflessioni quotidiane con due testi desunti dall’Abbecedario del buonumore che mi ha inviato l’autore, Giovanni Dan, un sacerdote giornalista di Vittorio Veneto. Tutta la gamma dei soggetti è ben rappresentata, anche con quella caratteristica maschilista che nella barzelletta predilige per lanciare i suoi strali le donne («Al cimitero una vedova ha fatto scrivere sulla tomba del marito defunto: Riposa in pace, finché verrò a raggiungerti!»).
Noi, però, vorremmo porre l’accento sul tema dell’ironia che è una spezia necessaria per insaporire la vita, così come lo è il sorriso, l’allegria, lo scherzo bonario. C’è, però, un aspetto che ci deve mettere in allarme. Ai nostri giorni non ci si sa fermare. L’eccesso ha intaccato anche la satira. E così si precipita nel dileggio, nella derisione, nello scherno, nella dissacrazione. Il motto pungente lascia spazio al detto volgare. L’osservazione mordace è sostituita dall’attacco pesante. La critica graffiante lascia il campo alla tracotanza grossolana. Per questo è necessario, da un lato, ritornare alla lievità dell’umorismo vero e, d’altro lato, riscoprire il controllo di sé, prima di precipitare nell’offesa e nella pura e semplice cattiveria.
Mattutino a cura di G. Ravasi
24 Agosto 2006
IL BUONUMORE
Un predicatore, al termine di un’interminabile omelia, si rivolge retoricamente ai fedeli: «Fratelli miei, che altro potrei dirvi?». Una voce dal fondo della chiesa risponde prontamente: «Amen!».
«Padre, mi accuso di guardarmi allo specchio molte volte al giorno e di trovarmi bella…». «Non angustiarti, figliola: non è un peccato, è un errore».
Siamo nel tempo delle vacanze e abbiamo voluto infrangere la seriosità delle nostre riflessioni quotidiane con due testi desunti dall’Abbecedario del buonumore che mi ha inviato l’autore, Giovanni Dan, un sacerdote giornalista di Vittorio Veneto. Tutta la gamma dei soggetti è ben rappresentata, anche con quella caratteristica maschilista che nella barzelletta predilige per lanciare i suoi strali le donne («Al cimitero una vedova ha fatto scrivere sulla tomba del marito defunto: Riposa in pace, finché verrò a raggiungerti!»).
Noi, però, vorremmo porre l’accento sul tema dell’ironia che è una spezia necessaria per insaporire la vita, così come lo è il sorriso, l’allegria, lo scherzo bonario. C’è, però, un aspetto che ci deve mettere in allarme. Ai nostri giorni non ci si sa fermare. L’eccesso ha intaccato anche la satira. E così si precipita nel dileggio, nella derisione, nello scherno, nella dissacrazione. Il motto pungente lascia spazio al detto volgare. L’osservazione mordace è sostituita dall’attacco pesante. La critica graffiante lascia il campo alla tracotanza grossolana. Per questo è necessario, da un lato, ritornare alla lievità dell’umorismo vero e, d’altro lato, riscoprire il controllo di sé, prima di precipitare nell’offesa e nella pura e semplice cattiveria.