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La fabbrica dei divorzi

Articoli CR - Recensioni Librarie

CR n.1073 del 27/12/2008


Nella presentazione all’agile e sostanzioso volumetto, il noto psicoterapeuta Claudio Risé si chiede: «Dopo quasi quarant’anni dall’approvazione della legge Fortuna-Baslini, fino a che punto il divorzio ha trasformato la società italiana?» (p. 7). Grazie alla fatica del Fiorin possiamo ben dire, purtroppo, che la legge sul divorzio, votata nel 1970 e approvata da un referendum iniquo 4 anni dopo, ha scardinato la famiglia tradizionale di impianto cristiano e ha favorito ogni sorta di disagio sociale come le separazioni, le convivenze, le infinite liti coniugali con annessi oceani di dolore presso figli o contesi o abbandonati o educati nel cattivo esempio e “viziati”.

Essendo poi la società una famiglia di famiglie e l’indissolubilità coniugale qualcosa di conforme alla ragione, oltre che al Vangelo, la legge che ha abolito di fatto e di diritto il matrimonio indissolubile, ha ferito a morte la stessa società civile la cui armonia e stabilità riposa infatti sull’ordine naturale e il senso religioso, e non sulla volontà mutevole e artificiale di effimere maggioranze indottrinate.

Oggi siamo assai edotti sulle conseguenze di tutto ciò e nelle recenti statistiche registriamo un calo spaventoso sia del numero dei matrimoni che della natalità, a fronte di un aumento costante dei fallimenti coniugali (fino al 25% del totale), dei figli senza padre e per finire di ridicole invenzioni pseudo-matrimoniali come i PACS, i DICO et similia, vere e proprie parodie del matrimonio autentico.

Merito raro dell’autore è quello di aver fatto luce su due punti a cui si pensa poco, perfino da parte degli oppositori del divorzio.
Anzitutto la legge del 1970 è di sua natura illiberale e totalitaria: infatti sarebbe stato possibile, nel contesto del liberalismo (pur deprecabile) dei giorni nostri, ipotizzare due forme matrimoniali diverse, una dissolubile e una indissolubile.

Ciò che appare strano a prima vista è stato realizzato, magari imperfettamente, negli stati della Louisiana, dell’Arkansas e dell’Arizona e avrebbe così preservato la coscienza del cattolico in armonia colla Parola di Dio (cfr. Mt 19, 3-9). Secondariamente l’avvocato Fiorin spende parole coraggiose sulle conseguenze della rivoluzione femminista in ambito matrimoniale e nel diritto di famiglia.

Sarebbe lungo e triste passare in rassegna le pagine drammatiche dedicate al tema e raccontate mediante tanti esempi concreti, e per far breve, ci limitiamo a dire che all’autorità morale e giuridica del capofamiglia, fondata in radice sull’autorità divina di Dio Padre, si è sostituita a poco a poco la crudele tirannia femminista. La donna in questo contesto può tutto: può fare e disfare una famiglia, cacciare di casa l’ex-marito innocente (col cosiddetto divorzio senza colpa o no-fault divorce), decidere se i suoi figli appartengono anche al padre naturale, abortire contro la volontà di chi ha contribuito a generare, etc. etc.

L’orizzonte nero rappresentato dalle più recenti conquiste del “progresso” in materia di famiglia mostra una decadenza culturale forse senza precedenti. Senza alcun pessimismo, dobbiamo ribadire con Giovanni Paolo II la «necessaria conformità della legge civile con la legge morale» (Evangelium vitae, 72): la legge sul divorzio, come quelle sull’aborto o sull’eutanasia, non è «una vera legge civile, moralmente obbligante» (ibid.).

La sua inesistenza, o inconsistenza morale e giuridica, dobbiamo testimoniarla nella vita di ogni giorno, sapendo bene di stare dalla parte della ragione, della giustizia e della civiltà.

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