Il «faticoso» Pannella, ma pure lo scomodo Ichino sulla via del Pd
ven 22 feb
il Punto di Stefano Folli
Tratto da Il Sole 24 ore del 22 febbraio 2008
Su un punto ha senza dubbio ragione Marco Pannella: la convivenza fra radicali e Partito democratico, uniti nella stessa lista, sarà «faticosa, laboriosa, difficile ».
Walter Veltroni, che non è un ingenuo, lo sa. D'altra parte, l'intesa era ormai nella logica delle cose. Per i radicali rinunciare all'accordo voleva dire condannarsi a una battaglia solitaria destinata con ogni probabilità – nelle attuali circostanze – a concludersi con un insuccesso, cioè con l'esclusione dal Parlamento. Quanto a Veltroni, ha calcolato che è meglio avere Pannella ed Emma Bonino alleati, per quanto scomodi, che non avversari. Ha ottenuto la rinuncia al simbolo, che non è poco, e ha concesso molto: una rappresentanza importante nella lista del Pd, spazi televisivi, rimborsi elettorali.
Certo, non basterà. È facile immaginare che Pannella non gradisca subire veti veltroniani sulle candidature: in particolare la sua e quella di Sergio D'Elia. Ma su questo un compromesso si può trovare. Irrealistico invece pensare che lo stesso Pannella rinunci a insistere sui punti qualificanti la laicità del Pd. E lo farà con il suo piglio, desideroso di far sapere agli italiani che i radicali continuano a esistere e si sforzano di contare molto al di là dei loro nove parlamentari. Magari più dei cattolici presenti nelle stesse liste e che ieri, con la senatrice Binetti, chiedevano una seria riflessione sulla legge 194, quella che regola l'interruzione di gravidanza. E ricordavano, ancora con la Binetti, che «il testamento biologico non è nel programma del Pd».
Non risulta, peraltro, che il partito radicale sia in procinto di sciogliersi. Il che appanna l'immagine del Partito democratico come forza che «corre da sola». In realtà, dopo l'alleanza tradizionale con Di Pietro, le candidature offerte ai radicali dimostrano che il percorso politico di Veltroni è più complesso di quanto la propaganda elettorale pretenda. Era un controsenso escludere il movimento di Pannella, protagonista di decenni di battaglie civili: e un vasto mondo laico lo ha ricordato al candidato premier. Ma a questo punto non c'è molta logica nel lasciar fuori solo i socialisti di Boselli, con l'argomento, ormai debole, che sono affezionati al loro simbolo. E, d'altro canto, non c'è da sottovalutare il malessere di quel mondo cattolico che s'interroga sull'identità del partito (e che è rimasto perplesso di fronte al caso De Mita).
Quello a cuiassistiamo,in ogni caso,è l'oggettiva difficoltà per Veltroni di gestire un'alleanza che va al di là del partito «coeso e omogeneo», in apparenza privo di contraddizioni, descrittoall'origine.Il Partito democratico tende ad assomigliare a una mini- coalizione, come osserva Bertinotti: e come, del resto, si presenta anche il Popolo della libertà affiancato dalla Lega.
Non ci sono solo i radicali e la Binetti. Ieri Pietro Ichino, noto studioso dei problemi del lavoro, candidato con il Pd, ha proposto di rivedere l'articolo 18, uno dei tabù della sinistra politica e sindacale. Un atto di coraggio, soprattutto un gesto destinato a dare credibilità al riformismo di Veltroni. Ma subito sono esplose le polemiche, tanto che Tiziano Treu è dovuto intervenire per ricordare che lo studioso ha parlato a titolo personale, in quanto la revisione dell'art.18 non è nel programma del Pd. Questo richiamo al programma per lenire i contrasti ricorda un po' il rituale propiziatorio cui ricorreva Prodi nei momenti di crisi: anche lui guardava sempre al programma. Ma ciò non gli ha evitato infinite lacerazioni.
ven 22 feb
il Punto di Stefano Folli
Tratto da Il Sole 24 ore del 22 febbraio 2008
Su un punto ha senza dubbio ragione Marco Pannella: la convivenza fra radicali e Partito democratico, uniti nella stessa lista, sarà «faticosa, laboriosa, difficile ».
Walter Veltroni, che non è un ingenuo, lo sa. D'altra parte, l'intesa era ormai nella logica delle cose. Per i radicali rinunciare all'accordo voleva dire condannarsi a una battaglia solitaria destinata con ogni probabilità – nelle attuali circostanze – a concludersi con un insuccesso, cioè con l'esclusione dal Parlamento. Quanto a Veltroni, ha calcolato che è meglio avere Pannella ed Emma Bonino alleati, per quanto scomodi, che non avversari. Ha ottenuto la rinuncia al simbolo, che non è poco, e ha concesso molto: una rappresentanza importante nella lista del Pd, spazi televisivi, rimborsi elettorali.
Certo, non basterà. È facile immaginare che Pannella non gradisca subire veti veltroniani sulle candidature: in particolare la sua e quella di Sergio D'Elia. Ma su questo un compromesso si può trovare. Irrealistico invece pensare che lo stesso Pannella rinunci a insistere sui punti qualificanti la laicità del Pd. E lo farà con il suo piglio, desideroso di far sapere agli italiani che i radicali continuano a esistere e si sforzano di contare molto al di là dei loro nove parlamentari. Magari più dei cattolici presenti nelle stesse liste e che ieri, con la senatrice Binetti, chiedevano una seria riflessione sulla legge 194, quella che regola l'interruzione di gravidanza. E ricordavano, ancora con la Binetti, che «il testamento biologico non è nel programma del Pd».
Non risulta, peraltro, che il partito radicale sia in procinto di sciogliersi. Il che appanna l'immagine del Partito democratico come forza che «corre da sola». In realtà, dopo l'alleanza tradizionale con Di Pietro, le candidature offerte ai radicali dimostrano che il percorso politico di Veltroni è più complesso di quanto la propaganda elettorale pretenda. Era un controsenso escludere il movimento di Pannella, protagonista di decenni di battaglie civili: e un vasto mondo laico lo ha ricordato al candidato premier. Ma a questo punto non c'è molta logica nel lasciar fuori solo i socialisti di Boselli, con l'argomento, ormai debole, che sono affezionati al loro simbolo. E, d'altro canto, non c'è da sottovalutare il malessere di quel mondo cattolico che s'interroga sull'identità del partito (e che è rimasto perplesso di fronte al caso De Mita).
Quello a cuiassistiamo,in ogni caso,è l'oggettiva difficoltà per Veltroni di gestire un'alleanza che va al di là del partito «coeso e omogeneo», in apparenza privo di contraddizioni, descrittoall'origine.Il Partito democratico tende ad assomigliare a una mini- coalizione, come osserva Bertinotti: e come, del resto, si presenta anche il Popolo della libertà affiancato dalla Lega.
Non ci sono solo i radicali e la Binetti. Ieri Pietro Ichino, noto studioso dei problemi del lavoro, candidato con il Pd, ha proposto di rivedere l'articolo 18, uno dei tabù della sinistra politica e sindacale. Un atto di coraggio, soprattutto un gesto destinato a dare credibilità al riformismo di Veltroni. Ma subito sono esplose le polemiche, tanto che Tiziano Treu è dovuto intervenire per ricordare che lo studioso ha parlato a titolo personale, in quanto la revisione dell'art.18 non è nel programma del Pd. Questo richiamo al programma per lenire i contrasti ricorda un po' il rituale propiziatorio cui ricorreva Prodi nei momenti di crisi: anche lui guardava sempre al programma. Ma ciò non gli ha evitato infinite lacerazioni.