Senza Cristo... teorie astratte
Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo – e solo così – vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo
domenica 23 dicembre 2007
«Ma questa volontà di dialogo e di collaborazione significa forse allo stesso tempo che non possiamo più trasmettere il messaggio di Gesù Cristo, non più proporre agli uomini e al mondo questa chiamata e la speranza che ne deriva? Chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé. Doni così grandi non sono mai destinati ad una persona sola. In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, la grande luce: non possiamo tenerla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (Mt 5,15). San Paolo è stato instancabilmente in cammino recando con sé il Vangelo. Si sentiva addirittura sotto una sorta di “costrizione” ad annunciare il Vangelo (1 Cor 9,16) – non tanto a motivo di una preoccupazione per la salvezza del singolo non – battezzato, non ancora raggiunto dal Vangelo, ma perché era consapevole che la storia nel suo insieme non poteva arrivare al suo compimento finché la totalità (pleroma) dei popoli non fosse raggiunta dal Vangelo (Rm 11,25). Per giungere al suo compimento, la storia ha bisogno dell’annuncio della Buona Novella a tutti i popoli, a tutti gli uomini (Mc 13,10). E di fatto: quanto è importante che confluiscano nell’umanità forze di riconciliazione, forze di pace, forze di amore e di giustizia – quanto è importante che nel “bilancio” dell’umanità, di fronte ai sentimenti ed alle realtà della violenza e dell’ingiustizia che la minacciano, vengano suscitate e rinvigorite forze antagoniste! E’ proprio ciò che avviene nella missione cristiana. Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace ed alla giustizia – rimangono solo teorie astratte… Ha fatto bene Aparecida, nella ricerca di vita per il mondo a dare priorità al discepolato di Gesù Cristo e all’evangelizzazione? Era forse un ripiegamento sbagliato nell’interiorità? No! Aparecida ha deciso giustamente, proprio perché mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo – e solo così – vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo» [Benedetto XVI Alla curia romana, 21 dicembre 2007].
Cuore del discorso ai membri della Curia Romana, ricevuti venerdì mattina, 21 dicembre, nella Sala Clementina in occasione degli auguri natalizi è che l’evangelizzazione non può mancare per ogni discepolo di Cristo, poiché senza di essa tutti i progetti di pace e di giustizia “rimangono solo teorie astratte”. Benedetto XVI, prima della risposta che abbiamo riportato all’inizio di questo articolo, ha raccolto alcuni interrogativi sulla riunione e il documento di Aparecida, interrogativi che emergono da tanti altri luoghi nella Chiesa: Ma era questo il tema giusto in quest’ora della storia che noi stiamo vivendo? Non era forse una svolta eccessiva verso l’interiorità, in un momento in cui le grandi sfide della storia, le questioni circa la giustizia, la pace e la libertà richiedono il pieno impegno di tutti gli uomini di buona volontà, e in modo particolare della cristianità e della Chiesa? Non si sarebbero dovuti affrontare piuttosto questi problemi, invece di ritirarsi nel mondo interiore della fede?
Prima di rispondere a questa obiezione il Papa ha voluto approfondire il tema con la sua parola chiave: trovare la vita – la vita vera. “Con ciò il tema – ha proseguito Benedetto XVI – suppone che questo obiettivo, su cui forse tutti sono d’accordo, viene raggiunto nel discepolato di Gesù Cristo come anche nell’impegno per la sua parola e la sua presenza. I cristiani in America Latina, e con loro quelli di tutto il mondo, vengono quindi invitati a ridiventare maggiormente “discepoli di Gesù Cristo” – cosa che, in fondo, già (oggettivamente) siamo in virtù del Battesimo, senza che ciò tolga che dobbiamo (soggettivamente, esistenzialmente) diventarlo sempre nuovamente nella viva appropriazione del dono di quel Sacramento. Essere discepoli di Cristo – che cosa significa? Ebbene, significa in primo luogo: arrivare a conoscerlo. Come avviene questo? E’ un invito ad ascoltarlo (qui e ora) così come Egli ci parla nel testo della Sacra Scrittura, come si rivolge a noi e ci viene incontro nella comune preghiera della Chiesa, nei Sacramenti e nella testimonianza dei Santi. Non si può mai conoscere Cristo solo teoricamente. Con grande dottrina si può sapere tutto sulle Sacre Scritture, senza averlo incontrato mai. Fa parte integrante del conoscerLo il camminare insieme con Lui, l’entrare nei suoi sentimenti, come dice la Lettera ai Filippesi (2,5). Paolo descrive questi sentimenti brevemente così: avere lo stesso amore, formare insieme un’anima sola (sympsuchoi), andare d’accordo, non fare niente per rivalità e vanagloria, non mirando ciascuno ai propri interessi soltanto, ma anche a quelli degli altri (2,2-4). La catechesi non può mai essere solo un insegnamento intellettuale, deve sempre diventare un impratichirsi della comunione di vita con Cristo, un esercitarsi nell’umiltà, nella giustizia e nell’amore. Solo così camminiamo con Gesù Cristo sulla sua via, solo così si apre l’occhio del nostro cuore; solo così impariamo a comprendere la Scrittura e incontriamo Lui. L’incontro con Gesù Cristo richiede l’ascolto, richiede la risposta nella preghiera e nel praticare ciò che Egli dice. Venendo a conoscere Cristo veniamo a conoscere Dio, e solo a partire da Dio comprendiamo l’uomo e il mondo, un mondo che altrimenti rimane una domanda senza senso”.
La comunicazione della fede ha innanzitutto bisogno di un suo nucleo, un concreto vissuto fraterno di comunione ecclesiale, un focolare da cui si sprigionino quelle energie che conducono all’incontro personale con il Risorto e alla conoscenza di Lui là, a cominciare dalla comunità di uomini entro la quale viviamo, in concreto portatori della gioia e della speranza nel mondo. Questo nucleo nel suo livello originario e decisivo non può essere che il Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, che opera liberamente, sacramentalmente, visibilmente in noi con il dono dello Spirito del Risorto. Ma nella dimensione umana, esistenziale, questo nucleo è costituito dalla comunità di credenti, anche pochi di numero, purché profondamente uniti nel nome di Cristo. Questo particolare vissuto fraterno di comunione in un ambiente, aperto alla parrocchia, alla diocesi, a tutta la Chiesa, è costituito da coloro che si riconoscono insieme perché c’è Cristo, perché tra loro c’è Dio dal volto umano: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. La Chiesa universale con il Papa, la Chiesa particolare con il Vescovo, unito a tutti i vescovi e al Papa, la Chiesa locale o parrocchia con i presbiteri giunge alla comunità di uomini entro la quale si vive attraverso i fedeli laici e consacrati. E a livello esistenziale è costituita dalla comunità dei credenti, anche pochi di numero, veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza nel mondo.
“Diventare discepoli di Cristo – ha proseguito il Papa – è dunque un cammino di educazione verso il vero essere, verso il giusto essere uomini. Nell’Antico Testamento, l’atteggiamento di fondo dell’uomo che vive la parola di Dio veniva riassunto nel termine zadic – il giusto: chi vive secondo la parola di Dio diventa un giusto; egli pratica e vive la giustizia. Nel cristianesimo l’atteggiamento dei discepoli di Gesù Cristo veniva poi espresso con un’altra parola: il fedele. La fede comprende tutto; questa parola ora indica insieme l’essere con Cristo e l’essere con la sua giustizia. Riceviamo nella fede la giustizia di Cristo, la viviamo in prima persona e la trasmettiamo. Il documento di Aparecida concretizza tutto ciò parlando della buona notizia sulla dignità dell’uomo, sulla vita, sulla famiglia, sulla scienza e la tecnologia, sul lavoro umano, sulla destinazione universale dei beni della terra e sull’ecologia: dimensioni nelle quali si articola la nostra giustizia, viene vissuta la fede e vengono date risposte alle sfide del tempo”.
Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace e alla giustizia – rimangono solo teorie astratte.
Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo – e solo così – vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo
domenica 23 dicembre 2007
«Ma questa volontà di dialogo e di collaborazione significa forse allo stesso tempo che non possiamo più trasmettere il messaggio di Gesù Cristo, non più proporre agli uomini e al mondo questa chiamata e la speranza che ne deriva? Chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé. Doni così grandi non sono mai destinati ad una persona sola. In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, la grande luce: non possiamo tenerla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (Mt 5,15). San Paolo è stato instancabilmente in cammino recando con sé il Vangelo. Si sentiva addirittura sotto una sorta di “costrizione” ad annunciare il Vangelo (1 Cor 9,16) – non tanto a motivo di una preoccupazione per la salvezza del singolo non – battezzato, non ancora raggiunto dal Vangelo, ma perché era consapevole che la storia nel suo insieme non poteva arrivare al suo compimento finché la totalità (pleroma) dei popoli non fosse raggiunta dal Vangelo (Rm 11,25). Per giungere al suo compimento, la storia ha bisogno dell’annuncio della Buona Novella a tutti i popoli, a tutti gli uomini (Mc 13,10). E di fatto: quanto è importante che confluiscano nell’umanità forze di riconciliazione, forze di pace, forze di amore e di giustizia – quanto è importante che nel “bilancio” dell’umanità, di fronte ai sentimenti ed alle realtà della violenza e dell’ingiustizia che la minacciano, vengano suscitate e rinvigorite forze antagoniste! E’ proprio ciò che avviene nella missione cristiana. Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace ed alla giustizia – rimangono solo teorie astratte… Ha fatto bene Aparecida, nella ricerca di vita per il mondo a dare priorità al discepolato di Gesù Cristo e all’evangelizzazione? Era forse un ripiegamento sbagliato nell’interiorità? No! Aparecida ha deciso giustamente, proprio perché mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo – e solo così – vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo» [Benedetto XVI Alla curia romana, 21 dicembre 2007].
Cuore del discorso ai membri della Curia Romana, ricevuti venerdì mattina, 21 dicembre, nella Sala Clementina in occasione degli auguri natalizi è che l’evangelizzazione non può mancare per ogni discepolo di Cristo, poiché senza di essa tutti i progetti di pace e di giustizia “rimangono solo teorie astratte”. Benedetto XVI, prima della risposta che abbiamo riportato all’inizio di questo articolo, ha raccolto alcuni interrogativi sulla riunione e il documento di Aparecida, interrogativi che emergono da tanti altri luoghi nella Chiesa: Ma era questo il tema giusto in quest’ora della storia che noi stiamo vivendo? Non era forse una svolta eccessiva verso l’interiorità, in un momento in cui le grandi sfide della storia, le questioni circa la giustizia, la pace e la libertà richiedono il pieno impegno di tutti gli uomini di buona volontà, e in modo particolare della cristianità e della Chiesa? Non si sarebbero dovuti affrontare piuttosto questi problemi, invece di ritirarsi nel mondo interiore della fede?
Prima di rispondere a questa obiezione il Papa ha voluto approfondire il tema con la sua parola chiave: trovare la vita – la vita vera. “Con ciò il tema – ha proseguito Benedetto XVI – suppone che questo obiettivo, su cui forse tutti sono d’accordo, viene raggiunto nel discepolato di Gesù Cristo come anche nell’impegno per la sua parola e la sua presenza. I cristiani in America Latina, e con loro quelli di tutto il mondo, vengono quindi invitati a ridiventare maggiormente “discepoli di Gesù Cristo” – cosa che, in fondo, già (oggettivamente) siamo in virtù del Battesimo, senza che ciò tolga che dobbiamo (soggettivamente, esistenzialmente) diventarlo sempre nuovamente nella viva appropriazione del dono di quel Sacramento. Essere discepoli di Cristo – che cosa significa? Ebbene, significa in primo luogo: arrivare a conoscerlo. Come avviene questo? E’ un invito ad ascoltarlo (qui e ora) così come Egli ci parla nel testo della Sacra Scrittura, come si rivolge a noi e ci viene incontro nella comune preghiera della Chiesa, nei Sacramenti e nella testimonianza dei Santi. Non si può mai conoscere Cristo solo teoricamente. Con grande dottrina si può sapere tutto sulle Sacre Scritture, senza averlo incontrato mai. Fa parte integrante del conoscerLo il camminare insieme con Lui, l’entrare nei suoi sentimenti, come dice la Lettera ai Filippesi (2,5). Paolo descrive questi sentimenti brevemente così: avere lo stesso amore, formare insieme un’anima sola (sympsuchoi), andare d’accordo, non fare niente per rivalità e vanagloria, non mirando ciascuno ai propri interessi soltanto, ma anche a quelli degli altri (2,2-4). La catechesi non può mai essere solo un insegnamento intellettuale, deve sempre diventare un impratichirsi della comunione di vita con Cristo, un esercitarsi nell’umiltà, nella giustizia e nell’amore. Solo così camminiamo con Gesù Cristo sulla sua via, solo così si apre l’occhio del nostro cuore; solo così impariamo a comprendere la Scrittura e incontriamo Lui. L’incontro con Gesù Cristo richiede l’ascolto, richiede la risposta nella preghiera e nel praticare ciò che Egli dice. Venendo a conoscere Cristo veniamo a conoscere Dio, e solo a partire da Dio comprendiamo l’uomo e il mondo, un mondo che altrimenti rimane una domanda senza senso”.
La comunicazione della fede ha innanzitutto bisogno di un suo nucleo, un concreto vissuto fraterno di comunione ecclesiale, un focolare da cui si sprigionino quelle energie che conducono all’incontro personale con il Risorto e alla conoscenza di Lui là, a cominciare dalla comunità di uomini entro la quale viviamo, in concreto portatori della gioia e della speranza nel mondo. Questo nucleo nel suo livello originario e decisivo non può essere che il Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, che opera liberamente, sacramentalmente, visibilmente in noi con il dono dello Spirito del Risorto. Ma nella dimensione umana, esistenziale, questo nucleo è costituito dalla comunità di credenti, anche pochi di numero, purché profondamente uniti nel nome di Cristo. Questo particolare vissuto fraterno di comunione in un ambiente, aperto alla parrocchia, alla diocesi, a tutta la Chiesa, è costituito da coloro che si riconoscono insieme perché c’è Cristo, perché tra loro c’è Dio dal volto umano: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. La Chiesa universale con il Papa, la Chiesa particolare con il Vescovo, unito a tutti i vescovi e al Papa, la Chiesa locale o parrocchia con i presbiteri giunge alla comunità di uomini entro la quale si vive attraverso i fedeli laici e consacrati. E a livello esistenziale è costituita dalla comunità dei credenti, anche pochi di numero, veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza nel mondo.
“Diventare discepoli di Cristo – ha proseguito il Papa – è dunque un cammino di educazione verso il vero essere, verso il giusto essere uomini. Nell’Antico Testamento, l’atteggiamento di fondo dell’uomo che vive la parola di Dio veniva riassunto nel termine zadic – il giusto: chi vive secondo la parola di Dio diventa un giusto; egli pratica e vive la giustizia. Nel cristianesimo l’atteggiamento dei discepoli di Gesù Cristo veniva poi espresso con un’altra parola: il fedele. La fede comprende tutto; questa parola ora indica insieme l’essere con Cristo e l’essere con la sua giustizia. Riceviamo nella fede la giustizia di Cristo, la viviamo in prima persona e la trasmettiamo. Il documento di Aparecida concretizza tutto ciò parlando della buona notizia sulla dignità dell’uomo, sulla vita, sulla famiglia, sulla scienza e la tecnologia, sul lavoro umano, sulla destinazione universale dei beni della terra e sull’ecologia: dimensioni nelle quali si articola la nostra giustizia, viene vissuta la fede e vengono date risposte alle sfide del tempo”.
Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace e alla giustizia – rimangono solo teorie astratte.