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Il credo di un ateo amico del Papa

Il credo di un ateo amico del Papa
Società - sab 19 ago
Rassegna stampa
Civiltà )( Barbarie Intervista riasciata da Marcello Pera al settimanale francese «Le Point», 6 aprile 2006
di Dominique Dunglas

Tratto dal sito del Senato della Repubblica

Titolare di una cattedra di Filosofia delle scienze all'Università di Pisa, studioso di Karl Popper, autore di numerosi saggi, ex editorialista del "Corriere della Sera" e de "La Stampa", Marcello Pera è, a 63 anni, uno dei più autorevoli intellettuali d'Italia. Considerato piuttosto di sinistra durante la sua carriera universitaria, si è avvicinato alla destra ed ha aderito a Forza Italia nel 1996. Eletto in Toscana nel 2001, è da tale data Presidente del Senato. Non credente, Marcello Pera è tuttavia intimo di Joseph Ratzinger, con il quale ha scritto nel 2004 un libro sull'identità dell'Europa, "Senza Radici". Benedetto XVI gli ha affidato la stesura della prefazione al suo libro "L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture".

Pera esprime quanto mai da vicino il pensiero del Sommo Pontefice sul relativismo, la crisi d'identità dell'Europa, la centralità dei valori cristiani e la loro affermazione di fronte al mondo musulmano. Leader dei neoconservatori italiani, ha fondato il Movimento per l'Occidente.

Le Point: Cos'è l'identità di un paese o di un continente come l'Europa?
«Per un paese, è il complesso dei valori e dei principi fondamentali riconosciuti dalle sue istituzioni e che figurano nella sua Costituzione. L'identità (o ethos) dell'Europa è contenuta in una serie di principi e di valori comuni a tutti i paesi europei e condivisi da tutti i cittadini. Ma l'ethos europeo è in crisi. Lo abbiamo visto quando abbiamo cercato di definirlo. Durante la discussione vuoi del preambolo della Costituzione, vuoi dei suoi articoli sul matrimonio e la clonazione, sono emerse forti divergenze. E se un paese, o un continente, non sente il suo ethos, non ha telos, cioè missione da compiere. La cultura europea, in gran parte influenzata dalla sinistra, ritiene che sottolineare il nostro ethos sia una forma di aggressione o di arroganza verso altre parti del mondo, in particolare del mondo islamico. Come se affermare la nostra identità equivalesse a negare l'identità dell'altro. Mentre è il contrario: affermare la nostra identità significa poter aprire un dialogo con gli altri».

Perché la nostra identità è necessariamente giudaico-cristiana?
«Discendiamo da tre colline, il Sinai, il Golgotha e l'Acropoli, ed abbiamo abitato tre capitali, Gerusalemme, Atene e Roma. In questi luoghi si sono formate la nostra tradizione e quelle delle nostre istituzioni pubbliche da cui provengono i nostri regimi liberali e democratici. Quest'identità giudaico-cristiana ha sviluppato una serie di valori fondamentali: dignità della persona, uguaglianza di tutti i cittadini, uguaglianza uomo-donna, tolleranza, rispetto. Professiamo questi principi, ma dimentichiamo la linfa che li ha alimentati, la tradizione giudaico-cristiana».

Come fa un laico a credere a questi valori senza riferimento divino?
«Sono i laici che ne riconoscono l'universalità firmando le Costituzioni che riprendono tali principi, firmando la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo o la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ciò significa che i laici credono nella natura fondamentale di questi principi e valori. La differenza fra cristiani e laici, nel senso di non credenti, è che per i laici questi valori appartengono all'essenza della natura umana e sono stati scoperti grazie alla ragione, alla riflessione, alla filosofia, alla cultura. Per i credenti, questi principi derivano dal fatto che gli uomini sono stati creati ad immagine di Dio. La differenza non sta nei principi e nei valori, ma nel modo di giustificarli. Non sono i diritti degli Europei ricchi ed istruiti. Non vi è etnocentrismo, non sono i nostri privilegi. Sono diritti universali. Devono essere riconosciuti a tutti ed ovunque».

Ma questi valori sono quelli della Dichiarazione dei diritti dell'uomo su cui nessuno, almeno in Occidente, a nulla da ridire. Perché ritiene che siano in crisi?
«Fino a che punto l'Europa crede in questi valori? Perché, quando questi valori sono negati, l'Europa non li difende? Una serie di episodi dimostrano che, pur rivendicando di promuovere i valori universali, l'Europa non fa niente per diffonderli. Peggio: vi è una cultura europea, il relativismo, che ritiene che questi diritti non siano universali, ma legati al nostro modo di vita europeo o occidentale e che siano diversi da altri tipi di diritti in altre aree del mondo. Ed anche questo sta ad indicare una mancanza di fiducia nella nostra identità».

Qual è la sua opinione sulla laicità come la si intende in Francia, cioè confinando la religione nella sfera privata dell'individuo?
«Molto severa, perché è una laicità imposta dalla legge. Non è una vera laicità, ma un'altra forma di religione. Una religione positiva, illuministica, razionalistica, ma imposta a tutti i cittadini che devono rinunciare alla propria identità. Il caso del velo è tipico. Relegare il velo alla sfera privata equivale a quello che Benedetto XVI chiama creare "il ghetto della soggettività". Significa negare ai sentimenti religiosi un qualunque ruolo nella sfera pubblica. E' un errore perché è impossibile. Le mie convinzioni religiose, le sue, quelle che sono diffuse nella società civile rientrano necessariamente nella politica di un paese».

Il movimento che lei ha creato e l'appello che ha lanciato sono la traduzione politica della critica del relativismo fatta da Benedetto XVI?
«Sì, e non solo da Benedetto XVI. Vi è un richiamo all'identità e alle radici. E questo può tradursi in impegni politici. Se si crede a questi principi fondativi della nostra società europea, allora bisogna trarne alcune conseguenze. Come il rispetto della vita o dell'istruzione privata».

In Italia, il Consiglio di Stato ha giudicato che fosse lecito porre un crocefisso in una scuola pubblica o in una sala di tribunale perché, quando non è in una chiesa, il crocefisso cessa di essere un simbolo religioso. Questa concezione della laicità è difficilmente comprensibile ad un pubblico francese. Può spiegarcelo?
«Il Consiglio di Stato ha detto che, anche per i non credenti, il crocefisso è un segno culturale d'identità, non può offendere nessuno e può restare nei luoghi pubblici. Alla parete del mio ufficio ho un quadro, una scena della Natività con una Madonna ed un Bambin Gesù. Ad un non credente come me, simboli come questi servono a ricordare da dove vengono i nostri principi laici ed i nostri diritti. E' questo il significato culturale. E' un po' come una bandiera, un simbolo d'identità».

La difesa dell'identità è compatibile con la società multiculturale, con l'incrocio di culture diverse?
«La società multiculturale è un atto. Basta aprire la finestra per vedere uomini e donne di origini diverse con modi di vita diversi. Ma il problema è: come far vivere questa società multiculturale in una società che conservi la propria coesione, la propria identità? Ed è proprio perché la società sarà sempre più multiculturale che è necessario avere un'identità aggregativa. Se si ritiene che si debba fare, come dicono i relativisti, una "rainbow society", una società arcobaleno, allora la coesione verrà meno e ciò porterà a fenomeni di emarginazione come si son visti in Francia e in Inghilterra. Bisogna trovare una nuova via all'integrazione. Il modello italiano, o quello americano, non vieta l'esposizione pubblica dei simboli religiosi. Cerca l'integrazione, non eliminando le religioni, non previlegiando le comunità, ma garantendo i diritti religiosi attraverso la condivisione dei valori e dei principi fondamentali e universali».

Vi è veramente una tendenza a rinnegare quel che siamo?
«In seguito alla vicenda delle caricature, nel mondo islamico si è arrivati a uccidere un prete, bruciare chiese, assassinare cristiani. Qual'è stata la risposta dell'Europa? Molto debole. Talvolta si è stati al limite di presentare delle scuse. L'Europa non ha ritenuto di dover difendere la sua identità. Non è stato richiamato alcun ambasciatore occidentale, non è stata convocata alcuna riunione del Consiglio europeo, la Commissione europea non ha preso alcuna posizione; quanto al Parlamento europeo, che però discute di tutto e di più, non si è espresso su questa vicenda».

Lei era una volta non un anticlericale, ma quanto meno un "laicista". Quale iter personale ha fatto di lei il leader dei "teoconservatori" italiani?
«L'11 settembre mi ha svegliato e mi ha indotto a pormi degli interrogativi. E' facile essere laico in un paese laico quando la mia laicità non è messa in discussione da nessuno. E' più difficile quando la mia identità e la mia esistenza di Occidentale sono poste in pericolo da coloro che dicono che appartengo ad un mondo corrotto che deve essere islamizzato. E' una discriminazione storica».

Lei è credente?
«Sono un non credente. Ho scritto la prefazione ad un libro di Benedetto XVI nel quale il Papa invita i non credenti come me ad agire secondo la formula di Pascal: "Agite come se Dio esistesse". Ciò significa rispettare i valori fondamentali: uguaglianza, parità, tolleranza. La maggior parte degli Occidentali agisce secondo i comandamenti di Mosè senza credere a Mosè. Quindi agisco come se Dio esistesse: sono un buon cittadino italiano, rispetto la legge, non mento, non uccido, rispetto la dignità della persona, la parità, l'uguaglianza. "Agire come se" significa essere credente? Pascal avrebbe risposto di no. Ma il papa chiede solo questo a quanti condividono le mie stesse convinzioni. Mi lascia libero di incontrare un giorno la possibilità della conversione. Se mi chiedesse di convertirmi, il dialogo sarebbe più difficile».

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