Omelia del Papa nell’Incontro con i nuovi Movimenti e Comunità CITTA’ DEL VATICANO,
domenica, 4 giugno 2006 (ZENIT.org).-
Pubblichiamo l’omelia pronunciata da Benedetto XVI questo sabato pomeriggio, durante la Veglia di Pentecoste, incontrando in piazza San Pietro i nuovi Movimenti e Comunità.
* * *
Cari fratelli e sorelle! Siete venuti veramente numerosi questa sera in Piazza san Pietro per partecipare alla Veglia di Pentecoste. Appartenenti a diversi popoli e culture, voi qui rappresentate tutti i membri dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità, spiritualmente raccolti attorno al Successore di Pietro, per proclamare la gioia di credere in Gesù Cristo, e rinnovare l'impegno di essergli fedeli discepoli in questo nostro tempo. Vi ringrazio per la vostra partecipazione e a ciascuno di voi rivolgo il mio cordiale saluto. Il mio pensiero affettuoso va, in primo luogo, ai Signori Cardinali, ai venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, ai religiosi e alle religiose. Saluto i responsabili delle vostre numerose realtà ecclesiali che mostrano quanto viva sia l'azione dello Spirito nel Popolo di Dio. Saluto chi ha preparato questo evento straordinario, e in particolare quanti lavorano nel Pontificio Consiglio per i Laici con il Segretario, Mons. Josef Clemens, e il Presidente, Mons. Stanis?aw Ry?ko, al quale sono grato anche per le cordiali espressioni che mi ha rivolto all'inizio della Liturgia dei Vespri. Riaffiora con commozione alla nostra memoria l'analogo incontro che ebbe luogo in questa stessa Piazza, il 30 maggio del 1998, con l'amato Giovanni Paolo II. Grande evangelizzatore della nostra epoca, egli vi ha accompagnato e guidato durante l'intero suo Pontificato; più volte egli ha definito "provvidenziali" le vostre associazioni e comunità soprattutto perché lo Spirito santificatore si serve di esse per risvegliare la fede nei cuori di tanti cristiani e far loro riscoprire la vocazione ricevuta con il Battesimo, aiutandoli ad essere testimoni di speranza, ripieni di quel fuoco di amore che è dono appunto dello Spirito Santo. Ora noi ci chiediamo: Chi o che cosa è lo Spirito Santo? Come possiamo riconoscerlo? In che modo noi andiamo a Lui ed Egli viene a noi? Che cosa opera? Una prima risposta ce la dà il grande inno pentecostale della Chiesa, col quale abbiamo iniziato i Vespri: "Veni, Creator Spiritus… – Vieni, Spirito Creatore…". L'inno accenna qui ai primi versetti della Bibbia che esprimono con il ricorso ad immagini la creazione dell'universo. Là si dice innanzitutto che sopra il caos, sulle acque dell'abisso, aleggiava lo Spirito di Dio. Il mondo in cui viviamo è opera dello Spirito Creatore. La Pentecoste non è solo l'origine della Chiesa e perciò, in modo speciale, la sua festa; la Pentecoste è anche una festa della creazione. Il mondo non esiste da sé; proviene dallo Spirito creativo di Dio, dalla Parola creativa di Dio. E per questo rispecchia anche la sapienza di Dio. Essa, nella sua ampiezza e nella logica onnicomprensiva delle sue leggi lascia intravedere qualcosa dello Spirito Creatore di Dio. Essa ci chiama al timore riverenziale. Proprio chi, come cristiano, crede nello Spirito Creatore, prende coscienza del fatto che non possiamo usare ed abusare del mondo e della materia come di semplice materiale del nostro fare e volere; che dobbiamo considerare la creazione come un dono affidatoci non per la distruzione, ma perché diventi il giardino di Dio e così un giardino dell'uomo. Di fronte alle molteplici forme di abuso della terra che oggi vediamo, udiamo quasi il gemito della creazione di cui parla san Paolo (Rm 8, 22); cominciamo a comprendere le parole dell'Apostolo, che cioè la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio, per essere resa libera e raggiungere il suo splendore. Cari amici, noi vogliamo essere tali figli di Dio che la creazione attende, e possiamo esserlo, perché nel battesimo il Signore ci ha resi tali. Sì, la creazione e la storia – esse ci attendono, aspettano uomini e donne che realmente siano figli di Dio e si comportino di conseguenza. Se guardiamo la storia, vediamo come intorno ai monasteri la creazione ha potuto prosperare, come con il ridestarsi dello Spirito di Dio nei cuori degli uomini è tornato il fulgore dello Spirito Creatore anche sulla terra – uno splendore che dalla barbarie dell'umana smania di potere era stato oscurato e a volte addirittura quasi spento. E di nuovo, intorno a Francesco di Assisi avviene la stessa cosa – avviene dovunque lo Spirito di Dio arriva nelle anime, questo Spirito che il nostro inno qualifica come luce, amore e vigore. Abbiamo così trovato una prima risposta alla domanda che cosa sia lo Spirito Santo, che cosa operi e come possiamo riconoscerlo. Egli ci viene incontro attraverso la creazione. Tuttavia, la creazione buona di Dio, nel corso della storia degli uomini, è stata ricoperta con uno strato massiccio di sporco che rende, se non impossibile, comunque difficile riconoscere in essa il riflesso del Creatore – anche se di fronte a un tramonto al mare, durante un'escursione in montagna o davanti ad un fiore sbocciato si risveglia in noi sempre di nuovo, quasi spontaneamente, la consapevolezza dell'esistenza del Creatore. Ma lo Spirito Creatore ci viene in aiuto. Egli è entrato nella storia e così ci parla in modo nuovo. In Gesù Cristo Dio stesso si è fatto uomo e ci ha concesso, per così dire, di gettare uno sguardo nell'intimità di Dio stesso. E lì vediamo una cosa del tutto inaspettata: in Dio esiste un Io e un Tu. Il Dio misterioso e lontano non è un'infinita solitudine, Egli è un evento di amore. Se dallo sguardo sulla creazione pensiamo di poter intravedere lo Spirito Creatore, Dio stesso, quasi come matematica creativa, come potere che plasma le leggi del mondo e il loro ordine e poi, però, anche come bellezza – adesso veniamo a sapere: lo Spirito Creatore ha un cuore. Egli è Amore. Esiste il Figlio che parla col Padre. Ed ambedue sono una cosa sola nello Spirito che è, per così dire, l'atmosfera del donare e dell'amare che fa di loro un unico Dio. Questa unità di amore, che è Dio, è un'unità molto più sublime di quanto potrebbe essere l'unità di un'ultima particella indivisibile. Proprio il Dio trino è il solo unico Dio. Per mezzo di Gesù gettiamo, per così dire, uno sguardo nell'intimità di Dio. Giovanni, nel suo Vangelo, lo ha espresso così: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18). Ma Gesù non ci ha soltanto lasciato guardare nell'intimità di Dio; con Lui Dio è anche come uscito dalla sua intimità e ci è venuto incontro. Questo avviene innanzitutto nella sua vita, passione, morte e risurrezione; nella sua parola. Ma Gesù non si accontenta di venirci incontro. Egli vuole di più. Vuole unificazione. È questo il significato delle immagini del banchetto e delle nozze. Noi non dobbiamo soltanto sapere qualcosa di Lui, ma mediante Lui stesso dobbiamo essere attratti in Dio. Per questo Egli deve morire e risuscitare. Perché ora non si trova più in un determinato luogo, ma ormai il suo Spirito, lo Spirito Santo, emana da Lui ed entra nei nostri cuori congiungendoci così con Gesù stesso e con il Padre – con il Dio Uno e Trino. La Pentecoste è questo: Gesù, e mediante Lui Dio stesso, viene a noi e ci attira dentro di sé. "Egli manda lo Spirito Santo" – così si esprime la Scrittura. Quale ne è l'effetto? Vorrei innanzitutto rilevare due aspetti: lo Spirito Santo, attraverso il quale Dio viene a noi, ci porta vita e libertà. Guardiamo ambedue le cose un po' più da vicino. "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza", dice Gesù nel Vangelo di Giovanni (10, 10). Vita e libertà – sono le cose a cui tutti noi aneliamo. Ma che cosa è questo – dove e come troviamo la "vita"? Io penso che, spontaneamente, la stragrande maggioranza degli uomini ha lo stesso concetto di vita del figliol prodigo nel Vangelo. Egli si era fatto liquidare la sua parte di patrimonio, e ora si sentiva libero, voleva finalmente vivere senza più il peso dei doveri di casa, voleva soltanto vivere. Avere dalla vita tutto ciò che essa può offrire. Godersela pienamente – vivere, solo vivere, abbeverarsi all'abbondanza della vita e non perdere nulla di ciò che di prezioso essa può offrire. Alla fine si ritrovò custode di porci, addirittura invidiando quegli animali – così vuota era diventata questa sua vita, così vana. E vana si rivelava anche la sua libertà. Non avviene forse anche oggi così? Quando della vita ci si vuole soltanto impadronire, essa si rende sempre più vuota, più povera; facilmente si finisce per rifugiarsi nella droga, nella grande illusione. Ed emerge il dubbio se vivere, in fin dei conti, sia veramente un bene. No, in questo modo noi non troviamo la vita. La parola di Gesù sulla vita in abbondanza si trova nel discorso del buon Pastore. È una parola che si pone in un doppio contesto. Sul pastore, Gesù ci dice che egli dà la sua vita. "Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso" (cfr Gv 10, 18). La vita la si trova soltanto donandola; non la si trova volendo impossessarsene. È questo che dobbiamo imparare da Cristo; e questo ci insegna lo Spirito Santo, che è puro dono, che è il donarsi di Dio. Più uno dà la sua vita per gli altri, per il bene stesso, più abbondantemente scorre il fiume della vita. In secondo luogo, il Signore ci dice che la vita sboccia nell'andare insieme col Pastore che conosce il pascolo – i luoghi dove scaturiscono le fonti della vita. La vita la troviamo nella comunione con Colui che è la vita in persona – nella comunione con il Dio vivente, una comunione nella quale ci introduce lo Spirito Santo, chiamato nell'inno dei Vespri "fons vivus", fonte vivente. Il pascolo, dove scorrono le fonti della vita, è la Parola di Dio come la troviamo nella Scrittura, nella fede della Chiesa. Il pascolo è Dio stesso che, nella comunione della fede, impariamo a conoscere mediante la potenza dello Spirito Santo. Cari amici, i Movimenti sono nati proprio dalla sete della vita vera; sono Movimenti per la vita sotto ogni aspetto. Dove non scorre più la vera fonte della vita, dove soltanto ci si appropria della vita invece di donarla, là è poi in pericolo anche la vita degli altri; là si è disposti a escludere la vita inerme non ancora nata, perché sembra togliere spazio alla propria vita. Se vogliamo proteggere la vita, allora dobbiamo soprattutto ritrovare la fonte della vita; allora la vita stessa deve riemergere in tutta la sua bellezza e sublimità; allora dobbiamo lasciarci vivificare dallo Spirito Santo, la fonte creativa della vita. Il tema della libertà è già stato accennato poco fa. Nella partenza del figliol prodigo si collegano appunto i temi della vita e della libertà. Egli vuole la vita, e per questo vuol essere totalmente libero. Essere libero significa, in questa visione, poter fare tutto quello che si vuole; non dover accettare alcun criterio al di fuori e al di sopra di me stesso. Seguire soltanto il mio desiderio e la mia volontà. Chi vive così, ben presto si scontrerà con l'altro che vuole vivere nella stessa maniera. La conseguenza necessaria di questo concetto egoistico di libertà è la violenza, la distruzione vicendevole della libertà e della vita. La Sacra Scrittura invece collega il concetto di libertà con quello di figliolanza: "E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»" (Rm 8, 15). Che cosa significa ciò? San Paolo vi presuppone il sistema sociale del mondo antico, nel quale esistevano gli schiavi, ai quali non apparteneva nulla e che perciò non potevano essere interessati ad un retto svolgimento delle cose. Corrispettivamente c'erano i figli i quali erano anche gli eredi e che per questo si preoccupavano della conservazione e della buona amministrazione della loro proprietà o della conservazione dello Stato. Poiché erano liberi, avevano anche una responsabilità. Prescindendo dal sottofondo sociologico di quel tempo, vale sempre il principio: libertà e responsabilità vanno insieme. La vera libertà si dimostra nella responsabilità, in un modo di agire che assume su di sé la corresponsabilità per il mondo, per se stessi e per gli altri. Libero è il figlio, cui appartiene la cosa e che perciò non permette che sia distrutta. Tutte le responsabilità mondane, delle quali abbiamo parlato, sono però responsabilità parziali, per un ambito determinato, uno Stato determinato, ecc. Lo Spirito Santo invece ci rende figli e figlie di Dio. Egli ci coinvolge nella stessa responsabilità di Dio per il suo mondo, per l'umanità intera. Ci insegna a guardare il mondo, l'altro e noi stessi con gli occhi di Dio. Noi facciamo il bene non come schiavi che non sono liberi di fare diversamente, ma lo facciamo perché portiamo personalmente la responsabilità per l'intero; perché amiamo la verità e il bene, perché amiamo Dio stesso e quindi anche le sue creature. È questa la libertà vera, alla quale lo Spirito Santo vuole condurci. I Movimenti ecclesiali vogliono e devono essere scuole di libertà, di questa libertà vera. Lì vogliamo imparare questa vera libertà, non quella da schiavi che mira a tagliare per se stessa una fetta della torta di tutti, anche se poi questa manca all'altro. Noi desideriamo la libertà vera e grande, quella degli eredi, la libertà dei figli di Dio. In questo mondo, così pieno di libertà fittizie che distruggono l'ambiente e l'uomo, vogliamo, con la forza dello Spirito Santo, imparare insieme la libertà vera; costruire scuole di libertà; dimostrare agli altri con la vita che siamo liberi e quanto è bello essere veramente liberi nella vera libertà dei figli di Dio. Lo Spirito Santo, dando vita e libertà, dona anche unità. Sono tre doni, questi, inseparabili tra di loro. Ho già parlato troppo a lungo; permettetemi però di dire ancora una parola sull'unità. Per comprenderla può esserci utile una frase che, in un primo momento, sembra piuttosto allontanarci da essa. A Nicodemo che, nella sua ricerca della verità, viene di notte con le sue domande da Gesù, Egli dice: "Lo Spirito soffia dove vuole" (Gv 3, 8). Ma la volontà dello Spirito non è arbitrio. È la volontà della verità e del bene. Perciò non soffia da qualunque parte, girando una volta di qua e una volta di là; il suo soffio non ci disperde ma ci raduna, perché la verità unisce e l'amore unisce. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù Cristo, lo Spirito che unisce il Padre col Figlio nell'Amore che nell'unico Dio dona ed accoglie. Egli ci unisce talmente che san Paolo poteva dire una volta: "Voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3, 28). Lo Spirito Santo, col suo soffio, ci spinge verso Cristo. Lo Spirito Santo opera corporalmente; non opera soltanto soggettivamente, "spiritualmente". Ai discepoli che lo ritenevano solo uno "spirito", il Cristo risorto disse: "Sono proprio io! Toccatemi e guardate; un semplice spirito – un fantasma – non ha carne e ossa come vedete che io ho" (cfr Lc 24, 39). Questo vale per il Cristo risorto in ogni epoca della storia. Egli non è un fantasma, non è semplicemente uno spirito, un pensiero, un'idea soltanto. Egli è rimasto l'Incarnato – Colui che ha assunto la nostra carne – e continua sempre ad edificare il suo Corpo, fa di noi il suo Corpo. Lo Spirito soffia dove vuole, e la sua volontà è l'unità fatta corpo, l'unità che incontra il mondo e lo trasforma. Nella Lettera agli Efesini san Paolo ci dice che questo Corpo di Cristo, che è la Chiesa, ha delle giunture (cfr 4,16), e le nomina anche: sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri (cfr 4, 12). Lo Spirito nei suoi doni è multiforme – lo vediamo. Se guardiamo la storia, se guardiamo questa assemblea qui in Piazza san Pietro – allora ci accorgiamo come Egli susciti sempre nuovi doni; vediamo quanto diversi siano gli organi che Egli crea, e come, sempre di nuovo, Egli operi corporalmente. Ma in Lui molteplicità e unità vanno insieme. Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in forme prima non immaginate. E con quale multiformità e corporeità lo fa! Ed è anche proprio qui che la multiformità e l'unità sono inseparabili tra di loro. Egli vuole la vostra multiformità, e vi vuole per l'unico corpo, nell'unione con gli ordini durevoli – le giunture – della Chiesa, con i successori degli apostoli e con il successore di san Pietro. Non ci toglie la fatica di imparare il modo di rapportarci vicendevolmente; ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell'unico corpo e nell'unità dell'unico corpo. È proprio solo così che l'unità ottiene la sua forza e la sua bellezza. Prendete parte all'edificazione dell'unico corpo! I pastori staranno attenti a non spegnere lo Spirito (cfr 1 Ts 5, 19) e voi non cesserete di portare i vostri doni alla comunità intera. Ancora una volta: lo Spirito Santo soffia dove vuole. Ma la sua volontà è l'unità. Egli ci conduce verso Cristo; nel suo Corpo. "Dal Cristo – ci dice san Paolo – tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4, 16). Lo Spirito Santo vuole l'unità, vuole la totalità. Perciò la sua presenza si dimostra soprattutto anche nello slancio missionario. Chi ha incontrato qualcosa di vero, di bello e di buono nella propria vita – l'unico vero tesoro, la perla preziosa! –, corre a condividerlo ovunque, in famiglia e nel lavoro, in tutti gli ambiti della propria esistenza. Lo fa senza alcun timore, perché sa di aver ricevuto l’adozione a figlio; senza nessuna presunzione, perché tutto è dono; senza scoraggiamento, perché lo Spirito di Dio precede la sua azione nel "cuore" degli uomini e come seme nelle più diverse culture e religioni. Lo fa senza confini, perché è portatore di una buona notizia che è per tutti gli uomini, per tutti i popoli. Cari amici, vi chiedo di essere, ancora di più, molto di più, collaboratori nel ministero apostolico universale del Papa, aprendo le porte a Cristo. Questo è il miglior servizio della Chiesa agli uomini e in modo tutto particolare ai poveri, affinché la vita della persona, un ordine più giusto nella società e la convivenza pacifica tra le nazioni trovino in Cristo la "pietra angolare" su cui costruire l'autentica civiltà, la civiltà dell'amore. Lo Spirito Santo dà ai credenti una visione superiore del mondo, della vita, della storia e li fa custodi della speranza che non delude. Preghiamo dunque Dio Padre, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, affinché la celebrazione della solennità di Pentecoste sia come fuoco ardente e vento impetuoso per la vita cristiana e per la missione di tutta la Chiesa. Depongo le intenzioni dei vostri Movimenti e Comunità nel cuore della Santissima Vergine Maria, presente nel Cenacolo insieme agli Apostoli; sia Lei ad impetrarne la concreta attuazione. Su tutti invoco l'effusione dei doni dello Spirito, perché anche in questo nostro tempo possa aversi l'esperienza di una rinnovata Pentecoste.
[© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana]
domenica, 4 giugno 2006 (ZENIT.org).-
Pubblichiamo l’omelia pronunciata da Benedetto XVI questo sabato pomeriggio, durante la Veglia di Pentecoste, incontrando in piazza San Pietro i nuovi Movimenti e Comunità.
* * *
Cari fratelli e sorelle! Siete venuti veramente numerosi questa sera in Piazza san Pietro per partecipare alla Veglia di Pentecoste. Appartenenti a diversi popoli e culture, voi qui rappresentate tutti i membri dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità, spiritualmente raccolti attorno al Successore di Pietro, per proclamare la gioia di credere in Gesù Cristo, e rinnovare l'impegno di essergli fedeli discepoli in questo nostro tempo. Vi ringrazio per la vostra partecipazione e a ciascuno di voi rivolgo il mio cordiale saluto. Il mio pensiero affettuoso va, in primo luogo, ai Signori Cardinali, ai venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, ai religiosi e alle religiose. Saluto i responsabili delle vostre numerose realtà ecclesiali che mostrano quanto viva sia l'azione dello Spirito nel Popolo di Dio. Saluto chi ha preparato questo evento straordinario, e in particolare quanti lavorano nel Pontificio Consiglio per i Laici con il Segretario, Mons. Josef Clemens, e il Presidente, Mons. Stanis?aw Ry?ko, al quale sono grato anche per le cordiali espressioni che mi ha rivolto all'inizio della Liturgia dei Vespri. Riaffiora con commozione alla nostra memoria l'analogo incontro che ebbe luogo in questa stessa Piazza, il 30 maggio del 1998, con l'amato Giovanni Paolo II. Grande evangelizzatore della nostra epoca, egli vi ha accompagnato e guidato durante l'intero suo Pontificato; più volte egli ha definito "provvidenziali" le vostre associazioni e comunità soprattutto perché lo Spirito santificatore si serve di esse per risvegliare la fede nei cuori di tanti cristiani e far loro riscoprire la vocazione ricevuta con il Battesimo, aiutandoli ad essere testimoni di speranza, ripieni di quel fuoco di amore che è dono appunto dello Spirito Santo. Ora noi ci chiediamo: Chi o che cosa è lo Spirito Santo? Come possiamo riconoscerlo? In che modo noi andiamo a Lui ed Egli viene a noi? Che cosa opera? Una prima risposta ce la dà il grande inno pentecostale della Chiesa, col quale abbiamo iniziato i Vespri: "Veni, Creator Spiritus… – Vieni, Spirito Creatore…". L'inno accenna qui ai primi versetti della Bibbia che esprimono con il ricorso ad immagini la creazione dell'universo. Là si dice innanzitutto che sopra il caos, sulle acque dell'abisso, aleggiava lo Spirito di Dio. Il mondo in cui viviamo è opera dello Spirito Creatore. La Pentecoste non è solo l'origine della Chiesa e perciò, in modo speciale, la sua festa; la Pentecoste è anche una festa della creazione. Il mondo non esiste da sé; proviene dallo Spirito creativo di Dio, dalla Parola creativa di Dio. E per questo rispecchia anche la sapienza di Dio. Essa, nella sua ampiezza e nella logica onnicomprensiva delle sue leggi lascia intravedere qualcosa dello Spirito Creatore di Dio. Essa ci chiama al timore riverenziale. Proprio chi, come cristiano, crede nello Spirito Creatore, prende coscienza del fatto che non possiamo usare ed abusare del mondo e della materia come di semplice materiale del nostro fare e volere; che dobbiamo considerare la creazione come un dono affidatoci non per la distruzione, ma perché diventi il giardino di Dio e così un giardino dell'uomo. Di fronte alle molteplici forme di abuso della terra che oggi vediamo, udiamo quasi il gemito della creazione di cui parla san Paolo (Rm 8, 22); cominciamo a comprendere le parole dell'Apostolo, che cioè la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio, per essere resa libera e raggiungere il suo splendore. Cari amici, noi vogliamo essere tali figli di Dio che la creazione attende, e possiamo esserlo, perché nel battesimo il Signore ci ha resi tali. Sì, la creazione e la storia – esse ci attendono, aspettano uomini e donne che realmente siano figli di Dio e si comportino di conseguenza. Se guardiamo la storia, vediamo come intorno ai monasteri la creazione ha potuto prosperare, come con il ridestarsi dello Spirito di Dio nei cuori degli uomini è tornato il fulgore dello Spirito Creatore anche sulla terra – uno splendore che dalla barbarie dell'umana smania di potere era stato oscurato e a volte addirittura quasi spento. E di nuovo, intorno a Francesco di Assisi avviene la stessa cosa – avviene dovunque lo Spirito di Dio arriva nelle anime, questo Spirito che il nostro inno qualifica come luce, amore e vigore. Abbiamo così trovato una prima risposta alla domanda che cosa sia lo Spirito Santo, che cosa operi e come possiamo riconoscerlo. Egli ci viene incontro attraverso la creazione. Tuttavia, la creazione buona di Dio, nel corso della storia degli uomini, è stata ricoperta con uno strato massiccio di sporco che rende, se non impossibile, comunque difficile riconoscere in essa il riflesso del Creatore – anche se di fronte a un tramonto al mare, durante un'escursione in montagna o davanti ad un fiore sbocciato si risveglia in noi sempre di nuovo, quasi spontaneamente, la consapevolezza dell'esistenza del Creatore. Ma lo Spirito Creatore ci viene in aiuto. Egli è entrato nella storia e così ci parla in modo nuovo. In Gesù Cristo Dio stesso si è fatto uomo e ci ha concesso, per così dire, di gettare uno sguardo nell'intimità di Dio stesso. E lì vediamo una cosa del tutto inaspettata: in Dio esiste un Io e un Tu. Il Dio misterioso e lontano non è un'infinita solitudine, Egli è un evento di amore. Se dallo sguardo sulla creazione pensiamo di poter intravedere lo Spirito Creatore, Dio stesso, quasi come matematica creativa, come potere che plasma le leggi del mondo e il loro ordine e poi, però, anche come bellezza – adesso veniamo a sapere: lo Spirito Creatore ha un cuore. Egli è Amore. Esiste il Figlio che parla col Padre. Ed ambedue sono una cosa sola nello Spirito che è, per così dire, l'atmosfera del donare e dell'amare che fa di loro un unico Dio. Questa unità di amore, che è Dio, è un'unità molto più sublime di quanto potrebbe essere l'unità di un'ultima particella indivisibile. Proprio il Dio trino è il solo unico Dio. Per mezzo di Gesù gettiamo, per così dire, uno sguardo nell'intimità di Dio. Giovanni, nel suo Vangelo, lo ha espresso così: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18). Ma Gesù non ci ha soltanto lasciato guardare nell'intimità di Dio; con Lui Dio è anche come uscito dalla sua intimità e ci è venuto incontro. Questo avviene innanzitutto nella sua vita, passione, morte e risurrezione; nella sua parola. Ma Gesù non si accontenta di venirci incontro. Egli vuole di più. Vuole unificazione. È questo il significato delle immagini del banchetto e delle nozze. Noi non dobbiamo soltanto sapere qualcosa di Lui, ma mediante Lui stesso dobbiamo essere attratti in Dio. Per questo Egli deve morire e risuscitare. Perché ora non si trova più in un determinato luogo, ma ormai il suo Spirito, lo Spirito Santo, emana da Lui ed entra nei nostri cuori congiungendoci così con Gesù stesso e con il Padre – con il Dio Uno e Trino. La Pentecoste è questo: Gesù, e mediante Lui Dio stesso, viene a noi e ci attira dentro di sé. "Egli manda lo Spirito Santo" – così si esprime la Scrittura. Quale ne è l'effetto? Vorrei innanzitutto rilevare due aspetti: lo Spirito Santo, attraverso il quale Dio viene a noi, ci porta vita e libertà. Guardiamo ambedue le cose un po' più da vicino. "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza", dice Gesù nel Vangelo di Giovanni (10, 10). Vita e libertà – sono le cose a cui tutti noi aneliamo. Ma che cosa è questo – dove e come troviamo la "vita"? Io penso che, spontaneamente, la stragrande maggioranza degli uomini ha lo stesso concetto di vita del figliol prodigo nel Vangelo. Egli si era fatto liquidare la sua parte di patrimonio, e ora si sentiva libero, voleva finalmente vivere senza più il peso dei doveri di casa, voleva soltanto vivere. Avere dalla vita tutto ciò che essa può offrire. Godersela pienamente – vivere, solo vivere, abbeverarsi all'abbondanza della vita e non perdere nulla di ciò che di prezioso essa può offrire. Alla fine si ritrovò custode di porci, addirittura invidiando quegli animali – così vuota era diventata questa sua vita, così vana. E vana si rivelava anche la sua libertà. Non avviene forse anche oggi così? Quando della vita ci si vuole soltanto impadronire, essa si rende sempre più vuota, più povera; facilmente si finisce per rifugiarsi nella droga, nella grande illusione. Ed emerge il dubbio se vivere, in fin dei conti, sia veramente un bene. No, in questo modo noi non troviamo la vita. La parola di Gesù sulla vita in abbondanza si trova nel discorso del buon Pastore. È una parola che si pone in un doppio contesto. Sul pastore, Gesù ci dice che egli dà la sua vita. "Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso" (cfr Gv 10, 18). La vita la si trova soltanto donandola; non la si trova volendo impossessarsene. È questo che dobbiamo imparare da Cristo; e questo ci insegna lo Spirito Santo, che è puro dono, che è il donarsi di Dio. Più uno dà la sua vita per gli altri, per il bene stesso, più abbondantemente scorre il fiume della vita. In secondo luogo, il Signore ci dice che la vita sboccia nell'andare insieme col Pastore che conosce il pascolo – i luoghi dove scaturiscono le fonti della vita. La vita la troviamo nella comunione con Colui che è la vita in persona – nella comunione con il Dio vivente, una comunione nella quale ci introduce lo Spirito Santo, chiamato nell'inno dei Vespri "fons vivus", fonte vivente. Il pascolo, dove scorrono le fonti della vita, è la Parola di Dio come la troviamo nella Scrittura, nella fede della Chiesa. Il pascolo è Dio stesso che, nella comunione della fede, impariamo a conoscere mediante la potenza dello Spirito Santo. Cari amici, i Movimenti sono nati proprio dalla sete della vita vera; sono Movimenti per la vita sotto ogni aspetto. Dove non scorre più la vera fonte della vita, dove soltanto ci si appropria della vita invece di donarla, là è poi in pericolo anche la vita degli altri; là si è disposti a escludere la vita inerme non ancora nata, perché sembra togliere spazio alla propria vita. Se vogliamo proteggere la vita, allora dobbiamo soprattutto ritrovare la fonte della vita; allora la vita stessa deve riemergere in tutta la sua bellezza e sublimità; allora dobbiamo lasciarci vivificare dallo Spirito Santo, la fonte creativa della vita. Il tema della libertà è già stato accennato poco fa. Nella partenza del figliol prodigo si collegano appunto i temi della vita e della libertà. Egli vuole la vita, e per questo vuol essere totalmente libero. Essere libero significa, in questa visione, poter fare tutto quello che si vuole; non dover accettare alcun criterio al di fuori e al di sopra di me stesso. Seguire soltanto il mio desiderio e la mia volontà. Chi vive così, ben presto si scontrerà con l'altro che vuole vivere nella stessa maniera. La conseguenza necessaria di questo concetto egoistico di libertà è la violenza, la distruzione vicendevole della libertà e della vita. La Sacra Scrittura invece collega il concetto di libertà con quello di figliolanza: "E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»" (Rm 8, 15). Che cosa significa ciò? San Paolo vi presuppone il sistema sociale del mondo antico, nel quale esistevano gli schiavi, ai quali non apparteneva nulla e che perciò non potevano essere interessati ad un retto svolgimento delle cose. Corrispettivamente c'erano i figli i quali erano anche gli eredi e che per questo si preoccupavano della conservazione e della buona amministrazione della loro proprietà o della conservazione dello Stato. Poiché erano liberi, avevano anche una responsabilità. Prescindendo dal sottofondo sociologico di quel tempo, vale sempre il principio: libertà e responsabilità vanno insieme. La vera libertà si dimostra nella responsabilità, in un modo di agire che assume su di sé la corresponsabilità per il mondo, per se stessi e per gli altri. Libero è il figlio, cui appartiene la cosa e che perciò non permette che sia distrutta. Tutte le responsabilità mondane, delle quali abbiamo parlato, sono però responsabilità parziali, per un ambito determinato, uno Stato determinato, ecc. Lo Spirito Santo invece ci rende figli e figlie di Dio. Egli ci coinvolge nella stessa responsabilità di Dio per il suo mondo, per l'umanità intera. Ci insegna a guardare il mondo, l'altro e noi stessi con gli occhi di Dio. Noi facciamo il bene non come schiavi che non sono liberi di fare diversamente, ma lo facciamo perché portiamo personalmente la responsabilità per l'intero; perché amiamo la verità e il bene, perché amiamo Dio stesso e quindi anche le sue creature. È questa la libertà vera, alla quale lo Spirito Santo vuole condurci. I Movimenti ecclesiali vogliono e devono essere scuole di libertà, di questa libertà vera. Lì vogliamo imparare questa vera libertà, non quella da schiavi che mira a tagliare per se stessa una fetta della torta di tutti, anche se poi questa manca all'altro. Noi desideriamo la libertà vera e grande, quella degli eredi, la libertà dei figli di Dio. In questo mondo, così pieno di libertà fittizie che distruggono l'ambiente e l'uomo, vogliamo, con la forza dello Spirito Santo, imparare insieme la libertà vera; costruire scuole di libertà; dimostrare agli altri con la vita che siamo liberi e quanto è bello essere veramente liberi nella vera libertà dei figli di Dio. Lo Spirito Santo, dando vita e libertà, dona anche unità. Sono tre doni, questi, inseparabili tra di loro. Ho già parlato troppo a lungo; permettetemi però di dire ancora una parola sull'unità. Per comprenderla può esserci utile una frase che, in un primo momento, sembra piuttosto allontanarci da essa. A Nicodemo che, nella sua ricerca della verità, viene di notte con le sue domande da Gesù, Egli dice: "Lo Spirito soffia dove vuole" (Gv 3, 8). Ma la volontà dello Spirito non è arbitrio. È la volontà della verità e del bene. Perciò non soffia da qualunque parte, girando una volta di qua e una volta di là; il suo soffio non ci disperde ma ci raduna, perché la verità unisce e l'amore unisce. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù Cristo, lo Spirito che unisce il Padre col Figlio nell'Amore che nell'unico Dio dona ed accoglie. Egli ci unisce talmente che san Paolo poteva dire una volta: "Voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3, 28). Lo Spirito Santo, col suo soffio, ci spinge verso Cristo. Lo Spirito Santo opera corporalmente; non opera soltanto soggettivamente, "spiritualmente". Ai discepoli che lo ritenevano solo uno "spirito", il Cristo risorto disse: "Sono proprio io! Toccatemi e guardate; un semplice spirito – un fantasma – non ha carne e ossa come vedete che io ho" (cfr Lc 24, 39). Questo vale per il Cristo risorto in ogni epoca della storia. Egli non è un fantasma, non è semplicemente uno spirito, un pensiero, un'idea soltanto. Egli è rimasto l'Incarnato – Colui che ha assunto la nostra carne – e continua sempre ad edificare il suo Corpo, fa di noi il suo Corpo. Lo Spirito soffia dove vuole, e la sua volontà è l'unità fatta corpo, l'unità che incontra il mondo e lo trasforma. Nella Lettera agli Efesini san Paolo ci dice che questo Corpo di Cristo, che è la Chiesa, ha delle giunture (cfr 4,16), e le nomina anche: sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri (cfr 4, 12). Lo Spirito nei suoi doni è multiforme – lo vediamo. Se guardiamo la storia, se guardiamo questa assemblea qui in Piazza san Pietro – allora ci accorgiamo come Egli susciti sempre nuovi doni; vediamo quanto diversi siano gli organi che Egli crea, e come, sempre di nuovo, Egli operi corporalmente. Ma in Lui molteplicità e unità vanno insieme. Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in forme prima non immaginate. E con quale multiformità e corporeità lo fa! Ed è anche proprio qui che la multiformità e l'unità sono inseparabili tra di loro. Egli vuole la vostra multiformità, e vi vuole per l'unico corpo, nell'unione con gli ordini durevoli – le giunture – della Chiesa, con i successori degli apostoli e con il successore di san Pietro. Non ci toglie la fatica di imparare il modo di rapportarci vicendevolmente; ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell'unico corpo e nell'unità dell'unico corpo. È proprio solo così che l'unità ottiene la sua forza e la sua bellezza. Prendete parte all'edificazione dell'unico corpo! I pastori staranno attenti a non spegnere lo Spirito (cfr 1 Ts 5, 19) e voi non cesserete di portare i vostri doni alla comunità intera. Ancora una volta: lo Spirito Santo soffia dove vuole. Ma la sua volontà è l'unità. Egli ci conduce verso Cristo; nel suo Corpo. "Dal Cristo – ci dice san Paolo – tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4, 16). Lo Spirito Santo vuole l'unità, vuole la totalità. Perciò la sua presenza si dimostra soprattutto anche nello slancio missionario. Chi ha incontrato qualcosa di vero, di bello e di buono nella propria vita – l'unico vero tesoro, la perla preziosa! –, corre a condividerlo ovunque, in famiglia e nel lavoro, in tutti gli ambiti della propria esistenza. Lo fa senza alcun timore, perché sa di aver ricevuto l’adozione a figlio; senza nessuna presunzione, perché tutto è dono; senza scoraggiamento, perché lo Spirito di Dio precede la sua azione nel "cuore" degli uomini e come seme nelle più diverse culture e religioni. Lo fa senza confini, perché è portatore di una buona notizia che è per tutti gli uomini, per tutti i popoli. Cari amici, vi chiedo di essere, ancora di più, molto di più, collaboratori nel ministero apostolico universale del Papa, aprendo le porte a Cristo. Questo è il miglior servizio della Chiesa agli uomini e in modo tutto particolare ai poveri, affinché la vita della persona, un ordine più giusto nella società e la convivenza pacifica tra le nazioni trovino in Cristo la "pietra angolare" su cui costruire l'autentica civiltà, la civiltà dell'amore. Lo Spirito Santo dà ai credenti una visione superiore del mondo, della vita, della storia e li fa custodi della speranza che non delude. Preghiamo dunque Dio Padre, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, affinché la celebrazione della solennità di Pentecoste sia come fuoco ardente e vento impetuoso per la vita cristiana e per la missione di tutta la Chiesa. Depongo le intenzioni dei vostri Movimenti e Comunità nel cuore della Santissima Vergine Maria, presente nel Cenacolo insieme agli Apostoli; sia Lei ad impetrarne la concreta attuazione. Su tutti invoco l'effusione dei doni dello Spirito, perché anche in questo nostro tempo possa aversi l'esperienza di una rinnovata Pentecoste.
[© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana]