Libero 13.5.2006
Guardate in faccia il piccolo Hevan
Renato Farina
Prima di essere anch'io deferito all'Ordine dei giornalisti e punito, magari espulso, racconto una storia, mi pagano per questo.
I genitori di Jennifer piangono la figlia assassinata, ma anche il nipotino non ancora nato: aveva già un bel musetto di cocco, pronto a ridere e a piangere. Il movente del delitto era lui, e se ne stava sicuro nella pancia di questa ragazza. Il padre feroce voleva annientarlo, non doveva esistere, era stato un incidente, andava abortito. Ma Jennifer amava più della sua stessa vita quella creatura che la scalciava di notte. L'amante allora ha provato a strozzarla e poi l'ha soffocata nella terra perché non si decideva a morire.
I medici per l'autopsia le hanno estratto dal ventre Hevan (nella foto) si chiamava così, con l'acca delle telenovelas. Che fare allora di lui?
Trattarlo come una cosa? Gettarlo nella spazzatura? Impossibile. Ha il nasino, gli occhietti sono chiusi. I nonni lo hanno lavato, profumato e vestito di bianco e di azzurro. Lo hanno fotografato. Dov'è lo scandalo? I cimiteri sono pieni di fotine di neonati sorpresi innocenti dalla morte. La morte è orrenda, il loro candore intatto vuole per saluto un mazzetto di viole. Come si vede in uno dei quadri più belli dell'800, "Il funerale di un bambino" di Albert Edelfelt.
La fotografia di Hevan è terminata sulla prima pagina del Gazzettino di Venezia. La vedete anche voi qui. In me - non so in voi - genera pietà, dolore, l'idea di una carezza, mi fermo, c'è troppa morte al mondo. I nonni hanno desiderato fortemente fosse pubblicata: perché vogliono che il mondo sappia che era un bambino. La parola feto in questo caso è un eufemismo idiota, una maniera per confondere la semplicità dei bambini che sono bambini. Quel Lucio Niero ha ucciso una madre e un bambino.
I due sono stati seppelliti insieme, nella stessa bara bianca dell'innocenza. È stata una strage di innocenti.La legge dice che Niero ha commesso un solo omicidio: il figlio morto non esiste, il codice si ostina a trattare Hevan come una cosa. Dinanzi a questa stortura del diritto i nonni si ribellano.
A loro sembra un'offesa alla dignità del piccino. «La foto è la prova che abbiamo ragione», dicono. «Chiunque neghi sia un bambino, è un pazzo, il Parlamento rimedi a questa aberrazione».
Il Parlamento non rimedierà. In realtà potrebbe, anzi dovrebbe. Basterebbe prendesse sul serio l'articolo 1 della legge 40 sulla fecondazione assistita secondo cui "i diritti del concepito" sono identici a quelli dei genitori. Cito: «... la presente legge (...) assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Ma si avrà cura - scommettiamo? - di non trasferirlo nel codice civile e in quello penale per non toccare la legge sull'aborto. Ipocrisie.
Ma la realtà è più forte. E ieri ha detto le sue ragioni sulla prima pagina del Gazzettino. Quando l'ho vista, mi è venuto l'impulso di ritagliarla. Non per un battaglia politica, non me ne importa niente, ma perché anche lui è un po' nostro figlio.
Mi commuove che i suoi nonni desiderino sia guardato e riconosciuto come una persona, ciò che la legge vieta. È un lenimento al loro dolore, il fatto di condividerlo. Le madri dei soldati morti hanno sempre in mano la foto del loro ragazzo caduto in guerra, e la mostrano a tutti, in tutte le latitudini del mondo. Non ci sono altre foto di Hevan. Era impossibile fotografarlo da vivo, stava nelle acque materne. Invece no, è un reato. Che lui ci si mostri dalle pagine di un giornale è stato ritenuto dai miei colleghi quasi all'unanimità qualcosa di cui vergognarsi. I giornalisti del Gazzettino si sono ribellati al loro direttore Luigi Bacialli, al vicedirettore Vittorio Pierobon e al bravissimo cronista cui la famiglia ha consegnato l'immagine, cioè Ario Gervasutti, e hanno usato queste parole: «Vergognatevi, avete toccato il fondo». L'Ordine dei giornalisti del Veneto ha immediatamente deciso di procedere: «Atto ignobile. Hanno pubblicato la foto di un bambino estratto dal cadavere della madre, vestito e sbattuto in prima pagina». Questo linguaggio è ignobile. Non è stato "sbattuto" in prima pagina. È stato sbattuto fuori dalla vita, ma era una creatura degna di essere guardata, non ha avuto le lacrime della mamma, abbia le nostre. Quella foto non ha nulla di macabro, estrae dal nulla e dalla dimenticanza qualcuno che altrimenti per la legge era solo una cosa. Ho visto qualcosa di simile nella cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto raffigura i volti dei piccini uccisi con lo stesso stupefatto sgomento.
Il segretario dell'Ordine nazionale, Vittorio Riodi, non ha visto la foto. Lo ammette. Ma dice: «È una scelta orribile e disdicevole». Io credo sia stata una scelta di civiltà. Hevan viene consegnato alla nostra coscienza. I bambini non si toccano. Non si cancellano dalla realtà per non turbare le coscienze. Ci parlano anche da morti. Perché li volete censurare?
Dopo di che, cari colleghi, espelletemi dall'Ordine, si possono fare tante cose nella vita. Pensavo fosse un mestiere diverso dal vostro.
Guardate in faccia il piccolo Hevan
Renato Farina
Prima di essere anch'io deferito all'Ordine dei giornalisti e punito, magari espulso, racconto una storia, mi pagano per questo.
I genitori di Jennifer piangono la figlia assassinata, ma anche il nipotino non ancora nato: aveva già un bel musetto di cocco, pronto a ridere e a piangere. Il movente del delitto era lui, e se ne stava sicuro nella pancia di questa ragazza. Il padre feroce voleva annientarlo, non doveva esistere, era stato un incidente, andava abortito. Ma Jennifer amava più della sua stessa vita quella creatura che la scalciava di notte. L'amante allora ha provato a strozzarla e poi l'ha soffocata nella terra perché non si decideva a morire.
I medici per l'autopsia le hanno estratto dal ventre Hevan (nella foto) si chiamava così, con l'acca delle telenovelas. Che fare allora di lui?
Trattarlo come una cosa? Gettarlo nella spazzatura? Impossibile. Ha il nasino, gli occhietti sono chiusi. I nonni lo hanno lavato, profumato e vestito di bianco e di azzurro. Lo hanno fotografato. Dov'è lo scandalo? I cimiteri sono pieni di fotine di neonati sorpresi innocenti dalla morte. La morte è orrenda, il loro candore intatto vuole per saluto un mazzetto di viole. Come si vede in uno dei quadri più belli dell'800, "Il funerale di un bambino" di Albert Edelfelt.
La fotografia di Hevan è terminata sulla prima pagina del Gazzettino di Venezia. La vedete anche voi qui. In me - non so in voi - genera pietà, dolore, l'idea di una carezza, mi fermo, c'è troppa morte al mondo. I nonni hanno desiderato fortemente fosse pubblicata: perché vogliono che il mondo sappia che era un bambino. La parola feto in questo caso è un eufemismo idiota, una maniera per confondere la semplicità dei bambini che sono bambini. Quel Lucio Niero ha ucciso una madre e un bambino.
I due sono stati seppelliti insieme, nella stessa bara bianca dell'innocenza. È stata una strage di innocenti.La legge dice che Niero ha commesso un solo omicidio: il figlio morto non esiste, il codice si ostina a trattare Hevan come una cosa. Dinanzi a questa stortura del diritto i nonni si ribellano.
A loro sembra un'offesa alla dignità del piccino. «La foto è la prova che abbiamo ragione», dicono. «Chiunque neghi sia un bambino, è un pazzo, il Parlamento rimedi a questa aberrazione».
Il Parlamento non rimedierà. In realtà potrebbe, anzi dovrebbe. Basterebbe prendesse sul serio l'articolo 1 della legge 40 sulla fecondazione assistita secondo cui "i diritti del concepito" sono identici a quelli dei genitori. Cito: «... la presente legge (...) assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Ma si avrà cura - scommettiamo? - di non trasferirlo nel codice civile e in quello penale per non toccare la legge sull'aborto. Ipocrisie.
Ma la realtà è più forte. E ieri ha detto le sue ragioni sulla prima pagina del Gazzettino. Quando l'ho vista, mi è venuto l'impulso di ritagliarla. Non per un battaglia politica, non me ne importa niente, ma perché anche lui è un po' nostro figlio.
Mi commuove che i suoi nonni desiderino sia guardato e riconosciuto come una persona, ciò che la legge vieta. È un lenimento al loro dolore, il fatto di condividerlo. Le madri dei soldati morti hanno sempre in mano la foto del loro ragazzo caduto in guerra, e la mostrano a tutti, in tutte le latitudini del mondo. Non ci sono altre foto di Hevan. Era impossibile fotografarlo da vivo, stava nelle acque materne. Invece no, è un reato. Che lui ci si mostri dalle pagine di un giornale è stato ritenuto dai miei colleghi quasi all'unanimità qualcosa di cui vergognarsi. I giornalisti del Gazzettino si sono ribellati al loro direttore Luigi Bacialli, al vicedirettore Vittorio Pierobon e al bravissimo cronista cui la famiglia ha consegnato l'immagine, cioè Ario Gervasutti, e hanno usato queste parole: «Vergognatevi, avete toccato il fondo». L'Ordine dei giornalisti del Veneto ha immediatamente deciso di procedere: «Atto ignobile. Hanno pubblicato la foto di un bambino estratto dal cadavere della madre, vestito e sbattuto in prima pagina». Questo linguaggio è ignobile. Non è stato "sbattuto" in prima pagina. È stato sbattuto fuori dalla vita, ma era una creatura degna di essere guardata, non ha avuto le lacrime della mamma, abbia le nostre. Quella foto non ha nulla di macabro, estrae dal nulla e dalla dimenticanza qualcuno che altrimenti per la legge era solo una cosa. Ho visto qualcosa di simile nella cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto raffigura i volti dei piccini uccisi con lo stesso stupefatto sgomento.
Il segretario dell'Ordine nazionale, Vittorio Riodi, non ha visto la foto. Lo ammette. Ma dice: «È una scelta orribile e disdicevole». Io credo sia stata una scelta di civiltà. Hevan viene consegnato alla nostra coscienza. I bambini non si toccano. Non si cancellano dalla realtà per non turbare le coscienze. Ci parlano anche da morti. Perché li volete censurare?
Dopo di che, cari colleghi, espelletemi dall'Ordine, si possono fare tante cose nella vita. Pensavo fosse un mestiere diverso dal vostro.