Avvenire 7.4.2006
CI È CHIESTO UN VOTO MEDITATO
Eugenia Roccella
La scadenza elettorale è qui, a un passo. Spesso, presi dalla nostra quotidianità, dagli affetti, dal lavoro, ci accade di infastidirci della presenza eccessiva e ingombrante della politica nel momento del voto. Votare è una piccola cosa, una croce messa su una scheda ogni cinque anni, e non ci sembra che quel gesto minimo di partecipazione abbia poi un grande significato per la nostra vita e quella di chi amiamo.
Eppure mai come oggi ci è richiesto un voto selettivo e meditato, che difenda la concretezza del senso comune e le offra un futuro. Perché è il senso comune ad essere pericolosamente in bilico.
La famiglia, per esempio. Che certamente non è un luogo ideale, dove alligna la perfezione, ma una normale aggregazione umana, con i suoi limiti e le sue inadeguatezze. La famiglia è, da molto tempo, oggetto di attacchi di tutti i tipi, frontali e subdoli, feroci e suadenti. Se è rimasta in piedi, è per la resistenza spontanea delle persone; non grazie a una difesa politica o culturale, ma a una resistenza del cuore. La famiglia continua ad essere vissuta come un rifugio caldo dalle asperità e difficoltà del mondo, come un’esperienza originaria, permeata di naturalità, senza la quale noi non saremmo noi. La proposta di unioni di fatto, pacs, matrimoni omosessuali, in teoria dovrebbe servire a sanare alcuni diritti individuali lesi, come quello di chi non può assistere il compagno di una vita malato. Ma per rimediare a queste possibili smagliature, non c’è bisogno di creare nuovi modelli di famiglia, basta molto meno, piccole correzioni legislative o addirittura modifiche di regolamenti. In realtà le ideologie postmoderne mirano a colpire la naturalità dell’esperienza familiare, come la naturalità del corpo, della procreazione, della nascita, dei rapporti di maternità e paternità, in una catena di passaggi consequenziali.
Così per la procreazione assistita, l’eutanasia, la selezione genetica degli embrioni, la riduzione del vivente al puro biologico, che ne conse nte la manipolazione in laboratorio. Ogni fatto fondamentale della vita, normalmente inserito in un contesto di responsabilità, di relazioni etiche e affettive, viene isolato, fino a perdere il suo significato umano. Cos’è l’embrione, quando non è più il figlio atteso e protetto dal buio del grembo materno? È "qualcosa" che può essere destinato agli esperimenti, o immerso nel gelo dell’azoto liquido e abbandonato a un’esistenza sospesa. Cos’è il corpo vivente ma inconsapevole di un malato in coma? Non è più la persona a cui dobbiamo un rispetto ancora maggiore, perché è in una condizione di completo affidamento, ma l’esempio di una vita senza qualità, indegna di essere vissuta. Cos’è la selezione genetica se non l’ultima, violenta utopia della perfettibilità? Come le vecchie utopie sociali del ventesimo secolo, promette un’umanità più felice, e intanto ci convince che decidere chi far nascere e chi no, chi buttare giù dalla rupe Tarpea perché fisicamente inadeguato, e chi invece far sopravvivere, è qualcosa che appartiene alla sfera della libera scelta individuale.
Oggi è necessario schierarsi a difesa di quelle che il Papa ha definito "verità elementari che riguardano la nostra comune umanità", su cui non possiamo lasciarci imbrogliare.
Nulla più va dato per acquisito, nulla più appartiene spontaneamente a quel senso comune che ci fa simili agli altri esseri umani, perché le esperienze fondamentali che viviamo sono le stesse che vivono gli altri. Raffaele La Capria, raffinato scrittore napoletano, ha definito così il senso comune: "vuol dire, per me, sentirmi parte di un mondo naturale e spirituale per quanto è possibile largamente condiviso. Vuol dire reagire all’eccessivo intellettualismo che domina nel discorso e traduce la cosa nel concetto della cosa fino alla rarefazione e alla scomparsa della cosa".
Il nostro problema, oggi, è non far scomparire "le cose" che stanno al fondo del discorso, cioè la famiglia, la sacralità della vita, la dignità e unicità i ntoccabile della persona.
Ma per fare questo dobbiamo giudicare, schierarci e scegliere: come ha scritto Chesterton, "le spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate".
CI È CHIESTO UN VOTO MEDITATO
Eugenia Roccella
La scadenza elettorale è qui, a un passo. Spesso, presi dalla nostra quotidianità, dagli affetti, dal lavoro, ci accade di infastidirci della presenza eccessiva e ingombrante della politica nel momento del voto. Votare è una piccola cosa, una croce messa su una scheda ogni cinque anni, e non ci sembra che quel gesto minimo di partecipazione abbia poi un grande significato per la nostra vita e quella di chi amiamo.
Eppure mai come oggi ci è richiesto un voto selettivo e meditato, che difenda la concretezza del senso comune e le offra un futuro. Perché è il senso comune ad essere pericolosamente in bilico.
La famiglia, per esempio. Che certamente non è un luogo ideale, dove alligna la perfezione, ma una normale aggregazione umana, con i suoi limiti e le sue inadeguatezze. La famiglia è, da molto tempo, oggetto di attacchi di tutti i tipi, frontali e subdoli, feroci e suadenti. Se è rimasta in piedi, è per la resistenza spontanea delle persone; non grazie a una difesa politica o culturale, ma a una resistenza del cuore. La famiglia continua ad essere vissuta come un rifugio caldo dalle asperità e difficoltà del mondo, come un’esperienza originaria, permeata di naturalità, senza la quale noi non saremmo noi. La proposta di unioni di fatto, pacs, matrimoni omosessuali, in teoria dovrebbe servire a sanare alcuni diritti individuali lesi, come quello di chi non può assistere il compagno di una vita malato. Ma per rimediare a queste possibili smagliature, non c’è bisogno di creare nuovi modelli di famiglia, basta molto meno, piccole correzioni legislative o addirittura modifiche di regolamenti. In realtà le ideologie postmoderne mirano a colpire la naturalità dell’esperienza familiare, come la naturalità del corpo, della procreazione, della nascita, dei rapporti di maternità e paternità, in una catena di passaggi consequenziali.
Così per la procreazione assistita, l’eutanasia, la selezione genetica degli embrioni, la riduzione del vivente al puro biologico, che ne conse nte la manipolazione in laboratorio. Ogni fatto fondamentale della vita, normalmente inserito in un contesto di responsabilità, di relazioni etiche e affettive, viene isolato, fino a perdere il suo significato umano. Cos’è l’embrione, quando non è più il figlio atteso e protetto dal buio del grembo materno? È "qualcosa" che può essere destinato agli esperimenti, o immerso nel gelo dell’azoto liquido e abbandonato a un’esistenza sospesa. Cos’è il corpo vivente ma inconsapevole di un malato in coma? Non è più la persona a cui dobbiamo un rispetto ancora maggiore, perché è in una condizione di completo affidamento, ma l’esempio di una vita senza qualità, indegna di essere vissuta. Cos’è la selezione genetica se non l’ultima, violenta utopia della perfettibilità? Come le vecchie utopie sociali del ventesimo secolo, promette un’umanità più felice, e intanto ci convince che decidere chi far nascere e chi no, chi buttare giù dalla rupe Tarpea perché fisicamente inadeguato, e chi invece far sopravvivere, è qualcosa che appartiene alla sfera della libera scelta individuale.
Oggi è necessario schierarsi a difesa di quelle che il Papa ha definito "verità elementari che riguardano la nostra comune umanità", su cui non possiamo lasciarci imbrogliare.
Nulla più va dato per acquisito, nulla più appartiene spontaneamente a quel senso comune che ci fa simili agli altri esseri umani, perché le esperienze fondamentali che viviamo sono le stesse che vivono gli altri. Raffaele La Capria, raffinato scrittore napoletano, ha definito così il senso comune: "vuol dire, per me, sentirmi parte di un mondo naturale e spirituale per quanto è possibile largamente condiviso. Vuol dire reagire all’eccessivo intellettualismo che domina nel discorso e traduce la cosa nel concetto della cosa fino alla rarefazione e alla scomparsa della cosa".
Il nostro problema, oggi, è non far scomparire "le cose" che stanno al fondo del discorso, cioè la famiglia, la sacralità della vita, la dignità e unicità i ntoccabile della persona.
Ma per fare questo dobbiamo giudicare, schierarci e scegliere: come ha scritto Chesterton, "le spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate".