L'albero della vita
Di Francesco Agnoli
(13/02/2008)
Di Matteo Graziola: "È difficile per noi uomini della civiltà tecnologica immaginare come poteva essere la percezione della natura da parte dei nostri più lontani antenati. La nostra rinnovata sensibilità per l'ambiente e per la «tutela del verde » si limita interamente alla sfera biologica ed estetica: sentiamo di aver bisogno di un ambiente biologicamente sano e di uno scenario esteticamente gradevole, ma non riusciamo ad andare al di là di queste dimensioni, pur avvertendo fortemente e anche fastidiosamente che ci sfugge qualcosa di assolutamente decisivo. L'uomo primitivo e quello antico, molto meno sviluppato di noi sul piano del patrimonio concettuale e scientifico, non era però meno dotato rispetto a noi della straordinaria e misteriosa capacità dello spirito umano di avvertire e cercare ciò che sfugge ai calcoli utilitaristici. Gli antropologi constatano infatti con comprensibile stupore il manifestarsi di questa insopprimibile indole metafisica dell'uomo fin dai primi segni lasciati dall'essere umano sulla terra. Attraverso di essi i nostri più lontani padri ci hanno lasciato la testimonianza della loro «ontologia », cioè la percezione del mistero dell'essere: da questo mistero si sentivano generati, avvolti, chiamati, affascinati, nonostante tutte le grandi difficoltà della loro esistenza e la rudimentale capacità di espressione di cui potevano disporre. La loro immersione totale in una natura che era insieme fonte di sofferenze ma anche di continua esperienza di bellezza non poteva non generare in loro l'intuizione di questo mistero, di cui rinvenivano ovunque i segni. Uno di questi segni, il cui utilizzo simbolico si perde nella notte dei tempi e che viene alla luce in molteplici modi tra le più antiche tracce visibili delle primitive civiltà, è quello dell'albero, studiato da Maria Teresa Lezzi, storica dell'arte e delle religioni, venuta dalla Lombardia e residente in Trentino, in un testo recentemente pubblicato dalla casa editrice Itaca: L'Albero della vita. Con l'introduzione di due studiosi di fama internazionale di storia delle religioni e storia dell'arte, Julien Ries e Piotr Skubiszewski, il testo mostra l'importanza e l'ampiezza del simbolismo dell'albero riunendo e confrontando i testi e le immagini che lo traducono. Questa è l'idea madre del libro che ne costituisce la sua vera originalità. Dottoressa Lezzi, cosa si intende anzitutto per «albero della vita»? «Per gli uomini primitivi l'albero è stato d'importanza fondamentale: segnalava la presenza dell'acqua, offriva ombra, forniva il legno che serviva per la costruzione di utensili e abitazioni e per accendere il fuoco, era fonte di nutrimento con i suoi frutti. L'uomo ha vissuto una tale simbiosi con l'albero che aveva l'impressione di ricevere l'esistenza stessa da esso. La maestosità di alcuni alberi, il fruscio delle foglie, il silenzio delle foreste suscitava negli uomini la sensazione di grandiosità e di mistero. Mai un albero fu adorato per se stesso, ma sempre per quel che rivelava. Eliade scrive che per l'esperienza religiosa dell'uomo arcaico l'albero rappresenta una potenza che è dovuta sia all'albero in quanto tale, che alle sue implicazioni cosmologiche. Esso diventa manifestazione del sacro proprio nella sua forma e modalità biologica: perché è verticale, cresce, perde le foglie e le riacquista, "muore" e "resuscita" innumerevoli volte, ha la sua linfa, porta frutti. È simbolo del carattere ciclico dell'evoluzione cosmica. Mette in comunicazione i tre livelli del cosmo: l'inferno per le sue radici che penetrano nelle profondità, la terra per il suo tronco, le altezze per i suoi rami e la sua cima innalzati verso il cielo: diventa Albero cosmico, Axis mundi, che si erge al centro dell'Universo. Esso esprime la sacralità stessa del mondo; la sua fecondità e perennità è in relazione con le idee di creazione e fertilità, d'iniziazione e in ultima istanza con l'idea d'immortalità. Così l'Albero del Mondo diventa anche l'Albero della vita». Il primo capitolo del suo libro è dedicato allo studio di questa simbologia all'interno delle civiltà antiche. In quali di queste civiltà si ritrova questo archetipo simbolico? «Certamente nella civiltà mesopotamica in cui l'albero kiskanu presenta le caratteristiche dell'Albero Cosmico, infatti si trova a Eridu, luogo sacro per eccellenza, è considerato il prototipo dell'albero sacro babilonese la cui iconografia è così diffusa nelle antiche civiltà del Vicino Oriente. Nell'epopea sumerica il mitico eroe Gilgames parte alla ricerca della pianta della vita che rende immortali. Anche nella tradizione
iranica appare l'Albero della vita e della rigenerazione, l'haoma o Gaokerena, che dà l'immortalità a chi si nutre di esso, conosciutao fino in India». Qual era in sintesi il messaggio culturale che questa simbologia veicolava all'interno delle civiltà antiche? «Alle civiltà mesopotamica e iranica abbiamo già accennato, mentre in Grecia e a Roma l'albero era protetto dalla divinità o abitazione di essa, come riferisce Plino il Vecchio nella sua Storia Naturale. Nell'antico Egitto emerge un legame con il culto dei morti, poiché l'albero del sicomoro viene identificato con la dea Nut che dispensa cibo e bevanda ai defunti». Il secondo capitolo riguarda la storia giudeo-cristiana: assistiamo a delle mutazioni semantiche radicali? «Riguardo all'Albero della vita nel paradiso terrestre, i biblisti hanno rilevato un'analogia con l'albero della vita mesopotamico, mentre l'esegesi e l'iconografia diventa dalle origini la prefigurazione della Croce. Essa si dice a volte realizzata con il legno dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male e più spesso con quello dell'Albero della Vita. Ma nella stessa esegesi e nell'iconografia l'Albero del peccato è spesso compreso e superato dall'Albero della Vita. Questo infatti appare già chiaramente identificato con la Croce e con Cristo stesso in scene del Peccato Originale. L'Albero della Vita, posto al centro del paradiso terrestre, irrigato dai quattro fiumi del paradiso, è già presente nel profetismo ebraico - nel libro di Enoch - come simbolo della salvezza messianica, anzi è la stessa sapienza di Dio, come affermato dal libro biblico dei Proverbi. Nella stessa immagine l'apocalittica cristiana vede il compimento della Redenzione. Ma sopravviene qualcosa di decisamente nuovo: "un diritto all'Albero della Vita", come afferma il libro dell'Apocalisse; esso è prerogativa solo di coloro che hanno lavato i loro abiti nel sangue dell'Agnello. Fra l'Albero della Vita del paradiso terrestre e quello del paradiso degli ultimi tempi, il cristiano vede ergersene un terzo: la Croce». Il terzo capitolo tratta dell'albero nelle civiltà non cristiane: che relazione vede tra la forza di tale simbolo e i percorsi religiosi dell'umanità? «Il simbolismo dell'Albero Cosmico è uno dei più fecondi e universali che abbia conosciuto l'umanità per spiegare la costituzione dell'Universo e il posto che l'uomo deve occuparvi ». Il Trentino è ricchissimo di alberi ad alto fusto: tale simbolo è presente nell'arte locale? «Sì, nelle decorazioni delle culle lignee come simbolo di fecondità e abbondanza».
Di Francesco Agnoli
(13/02/2008)
Di Matteo Graziola: "È difficile per noi uomini della civiltà tecnologica immaginare come poteva essere la percezione della natura da parte dei nostri più lontani antenati. La nostra rinnovata sensibilità per l'ambiente e per la «tutela del verde » si limita interamente alla sfera biologica ed estetica: sentiamo di aver bisogno di un ambiente biologicamente sano e di uno scenario esteticamente gradevole, ma non riusciamo ad andare al di là di queste dimensioni, pur avvertendo fortemente e anche fastidiosamente che ci sfugge qualcosa di assolutamente decisivo. L'uomo primitivo e quello antico, molto meno sviluppato di noi sul piano del patrimonio concettuale e scientifico, non era però meno dotato rispetto a noi della straordinaria e misteriosa capacità dello spirito umano di avvertire e cercare ciò che sfugge ai calcoli utilitaristici. Gli antropologi constatano infatti con comprensibile stupore il manifestarsi di questa insopprimibile indole metafisica dell'uomo fin dai primi segni lasciati dall'essere umano sulla terra. Attraverso di essi i nostri più lontani padri ci hanno lasciato la testimonianza della loro «ontologia », cioè la percezione del mistero dell'essere: da questo mistero si sentivano generati, avvolti, chiamati, affascinati, nonostante tutte le grandi difficoltà della loro esistenza e la rudimentale capacità di espressione di cui potevano disporre. La loro immersione totale in una natura che era insieme fonte di sofferenze ma anche di continua esperienza di bellezza non poteva non generare in loro l'intuizione di questo mistero, di cui rinvenivano ovunque i segni. Uno di questi segni, il cui utilizzo simbolico si perde nella notte dei tempi e che viene alla luce in molteplici modi tra le più antiche tracce visibili delle primitive civiltà, è quello dell'albero, studiato da Maria Teresa Lezzi, storica dell'arte e delle religioni, venuta dalla Lombardia e residente in Trentino, in un testo recentemente pubblicato dalla casa editrice Itaca: L'Albero della vita. Con l'introduzione di due studiosi di fama internazionale di storia delle religioni e storia dell'arte, Julien Ries e Piotr Skubiszewski, il testo mostra l'importanza e l'ampiezza del simbolismo dell'albero riunendo e confrontando i testi e le immagini che lo traducono. Questa è l'idea madre del libro che ne costituisce la sua vera originalità. Dottoressa Lezzi, cosa si intende anzitutto per «albero della vita»? «Per gli uomini primitivi l'albero è stato d'importanza fondamentale: segnalava la presenza dell'acqua, offriva ombra, forniva il legno che serviva per la costruzione di utensili e abitazioni e per accendere il fuoco, era fonte di nutrimento con i suoi frutti. L'uomo ha vissuto una tale simbiosi con l'albero che aveva l'impressione di ricevere l'esistenza stessa da esso. La maestosità di alcuni alberi, il fruscio delle foglie, il silenzio delle foreste suscitava negli uomini la sensazione di grandiosità e di mistero. Mai un albero fu adorato per se stesso, ma sempre per quel che rivelava. Eliade scrive che per l'esperienza religiosa dell'uomo arcaico l'albero rappresenta una potenza che è dovuta sia all'albero in quanto tale, che alle sue implicazioni cosmologiche. Esso diventa manifestazione del sacro proprio nella sua forma e modalità biologica: perché è verticale, cresce, perde le foglie e le riacquista, "muore" e "resuscita" innumerevoli volte, ha la sua linfa, porta frutti. È simbolo del carattere ciclico dell'evoluzione cosmica. Mette in comunicazione i tre livelli del cosmo: l'inferno per le sue radici che penetrano nelle profondità, la terra per il suo tronco, le altezze per i suoi rami e la sua cima innalzati verso il cielo: diventa Albero cosmico, Axis mundi, che si erge al centro dell'Universo. Esso esprime la sacralità stessa del mondo; la sua fecondità e perennità è in relazione con le idee di creazione e fertilità, d'iniziazione e in ultima istanza con l'idea d'immortalità. Così l'Albero del Mondo diventa anche l'Albero della vita». Il primo capitolo del suo libro è dedicato allo studio di questa simbologia all'interno delle civiltà antiche. In quali di queste civiltà si ritrova questo archetipo simbolico? «Certamente nella civiltà mesopotamica in cui l'albero kiskanu presenta le caratteristiche dell'Albero Cosmico, infatti si trova a Eridu, luogo sacro per eccellenza, è considerato il prototipo dell'albero sacro babilonese la cui iconografia è così diffusa nelle antiche civiltà del Vicino Oriente. Nell'epopea sumerica il mitico eroe Gilgames parte alla ricerca della pianta della vita che rende immortali. Anche nella tradizione
iranica appare l'Albero della vita e della rigenerazione, l'haoma o Gaokerena, che dà l'immortalità a chi si nutre di esso, conosciutao fino in India». Qual era in sintesi il messaggio culturale che questa simbologia veicolava all'interno delle civiltà antiche? «Alle civiltà mesopotamica e iranica abbiamo già accennato, mentre in Grecia e a Roma l'albero era protetto dalla divinità o abitazione di essa, come riferisce Plino il Vecchio nella sua Storia Naturale. Nell'antico Egitto emerge un legame con il culto dei morti, poiché l'albero del sicomoro viene identificato con la dea Nut che dispensa cibo e bevanda ai defunti». Il secondo capitolo riguarda la storia giudeo-cristiana: assistiamo a delle mutazioni semantiche radicali? «Riguardo all'Albero della vita nel paradiso terrestre, i biblisti hanno rilevato un'analogia con l'albero della vita mesopotamico, mentre l'esegesi e l'iconografia diventa dalle origini la prefigurazione della Croce. Essa si dice a volte realizzata con il legno dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male e più spesso con quello dell'Albero della Vita. Ma nella stessa esegesi e nell'iconografia l'Albero del peccato è spesso compreso e superato dall'Albero della Vita. Questo infatti appare già chiaramente identificato con la Croce e con Cristo stesso in scene del Peccato Originale. L'Albero della Vita, posto al centro del paradiso terrestre, irrigato dai quattro fiumi del paradiso, è già presente nel profetismo ebraico - nel libro di Enoch - come simbolo della salvezza messianica, anzi è la stessa sapienza di Dio, come affermato dal libro biblico dei Proverbi. Nella stessa immagine l'apocalittica cristiana vede il compimento della Redenzione. Ma sopravviene qualcosa di decisamente nuovo: "un diritto all'Albero della Vita", come afferma il libro dell'Apocalisse; esso è prerogativa solo di coloro che hanno lavato i loro abiti nel sangue dell'Agnello. Fra l'Albero della Vita del paradiso terrestre e quello del paradiso degli ultimi tempi, il cristiano vede ergersene un terzo: la Croce». Il terzo capitolo tratta dell'albero nelle civiltà non cristiane: che relazione vede tra la forza di tale simbolo e i percorsi religiosi dell'umanità? «Il simbolismo dell'Albero Cosmico è uno dei più fecondi e universali che abbia conosciuto l'umanità per spiegare la costituzione dell'Universo e il posto che l'uomo deve occuparvi ». Il Trentino è ricchissimo di alberi ad alto fusto: tale simbolo è presente nell'arte locale? «Sì, nelle decorazioni delle culle lignee come simbolo di fecondità e abbondanza».