Tratto da Cultura Cattolica.it
Nel caos del mondo Dio si fa compagnia all’uomo
L’annuncio è di quelli inimmaginabili. Se lo ripetono due giovani seminaristi, folgorati di consapevolezza sulle scale del vecchio seminario; uno si chiama Luigi Giussani e l’altro Enrico Manfredini. Ecco come don Giussani ricorda l’episodio:
“Mi ricordo, con impressione vivissima, come ho raccontato tante volte ai miei amici, di quel che accadde una sera, mentre stavamo andando in chiesa. Era suonata la campana e tutti correvamo giù per le scale vicine alla cappella di teologia del grande seminario di Venegono; noi due eravamo gli ultimi e perciò correvamo di più per raggiungere gli altri. A un certo punto, Manfredini mi ha preso per un braccio, mi ha fermato; non so come, io l’ho guardato in faccia e lui mi ha detto queste testuali parole, che mi hanno fatto venire i brividi: «Però, pensare che Dio si è fatto uomo: è proprio una cosa dell’altro mondo!». Poi andò avanti e mi precedette. Il cuore di quel mio compagno era pieno della emozione dell’annuncio più grande che sia mai riecheggiato in questo mondo.
Comunque, attraversando orecchi attenti e orecchi disattenti, cuori aderenti e cuori irritati “contro”, attraversando secoli di storia, questo messaggio è, obiettivamente, in sé, se lo ripetiamo e lo guardiamo, il messaggio più buono, più umano, più carico di promessa e di speranza, il messaggio più buono e più carico di speranza che l’uomo possa sentire. Possiamo immaginarci un’altra frase che esprima un messaggio più buono di questo, più carico di speranza di questo? No! Manfredini, il mio compagno, lo sentiva nel cuore, io me lo sono sentito nella mano che mi fermava il braccio, così, d’improvviso, sulla scala. «Pensare che Dio si è fatto uomo: è veramente una cosa dell’altro mondo!». E mentre lui scendeva le scale più veloce di prima, precedendomi, io gli ho gridato (“gridato” come si poteva in quel momento di silenzio): «È una cosa dell’altro mondo, in questo mondo!».” (Luigi Giussani, Come si diventa cristiani, Basilica di Sant’Antonio. Padova, 11 febbraio 1994).
E’ il Natale, è il Natale! Come ripeteva Nicola Cabasilas, mistico e teologo greco, solo un “amore da pazzi” (manikos eros) poteva immaginare un’impresa così folle: per amore dell’uomo, condividere in tutto (eccetto il peccato) la condizione dell’uomo, farsi fratello, amico di ognuno di noi.
Senza temere quello che avrebbe incontrato e le conseguenze della sua Incarnazione:
“Così cominciò la sua discesa nel mondo. Va’ e rimettilo in ordine, il Padre gli disse. Allora è venuto e, come uno straniero, s’insinuò nel formicaio dei mercati. Passò accanto alle baracche dove i prudenti e gli astuti offrivano le loro merci, vide le mani febbrili dei venditori rovistare tra tappeti e gioielli; udì le consorterie dei sapienti lodare le nuove invenzioni: modelli di stati e di società, ricette per vivere felici, macchine volanti verso l’assoluto, trabocchetti e immersioni verso il nulla beato. Passò accanto alle statue degli dei, noti ed ignoti, diede un’ occhiata nelle riserve dello spirito, dove balle e botti si ammucchiavano a torre... alzò il sipario di certe locande, dove l’assenzio del sapere segreto offre l’accesso ad inferni o paradisi artificiali. Salì sopra un monte, vide paesi, sentì ridere e piangere, notò in qualche alcova uomini e donne aggrovigliarsi furenti e nella stanza vicina gemere una partoriente; morti venivano portati fuori accanto a bambini che andavano a scuola. Venivano costruite città sulle ceneri di abitazioni precipitate, qui infuriava la guerra, là si stendeva sazia la pace; l’amore rideva di odio, e l’odio di amore crudele, fiori e marciume, vizio e innocenza crescevano disperatamente l’uno nell’ altra e mescolavano inestricabilmente il loro odore. Un grande immenso rumore confuso di mille voci usciva dal turbinio, polvere e fumo vorticavano insieme, e tutto sapeva dolcemente di luridume e di corruzione. Nessuno conosceva il nome del Padre.”
(H. U. Von Balthasar, Il cuore del mondo).
Come è apparso chiaro in questi giorni, al fatto di Gesù nato per noi si associa spesso un rifiuto, ora feroce ora subdolo: ora uno svuotamento del Natale dal suo interno, ora una cancellazione sistematica della Memoria (gli attacchi al Presepe, per toglierlo dagli scaffali del Supermarket, o per utilizzarlo come spunto per le proprie preoccupazioni politiche, vedi Rosa nel pugno), ora il solito malinteso multiculturalismo dove ogni identità, ogni appartenenza, ogni fede (soprattutto il cristianesimo) devono essere piallati da un laicismo livellatore.
“La Parola venne nel mondo. Venne nella sua proprietà, ma i suoi non l’hanno ricevuta. Brillò nell’oscurità, ma le tenebre se ne sono distolte. Così la rivelazione dell’amore dovette decidersi alla battaglia per la vita e la morte” (H. U. Von Balthasar, op. cit.). Il mistero di questo rifiuto, che attraversa anche noi, ci ripone davanti al Presepe: lì tutti gli sguardi, i gesti dei personaggi sono calamitati da quella Presenza, sono diretti al “cuore del mondo”. Il Presepe ci invita a fare di Cristo il centro affettivo della nostra vita, nella grande compagnia della Chiesa. E attorno al Presepe può rinascere un popolo che non dimentica, che fa Memoria e quindi rivive l’Avvenimento, come Maria che “serbava tutte queste cose nel suo cuore”, per farne esperienza nella vita di tutti i giorni. Buon Natale!
Nel caos del mondo Dio si fa compagnia all’uomo
L’annuncio è di quelli inimmaginabili. Se lo ripetono due giovani seminaristi, folgorati di consapevolezza sulle scale del vecchio seminario; uno si chiama Luigi Giussani e l’altro Enrico Manfredini. Ecco come don Giussani ricorda l’episodio:
“Mi ricordo, con impressione vivissima, come ho raccontato tante volte ai miei amici, di quel che accadde una sera, mentre stavamo andando in chiesa. Era suonata la campana e tutti correvamo giù per le scale vicine alla cappella di teologia del grande seminario di Venegono; noi due eravamo gli ultimi e perciò correvamo di più per raggiungere gli altri. A un certo punto, Manfredini mi ha preso per un braccio, mi ha fermato; non so come, io l’ho guardato in faccia e lui mi ha detto queste testuali parole, che mi hanno fatto venire i brividi: «Però, pensare che Dio si è fatto uomo: è proprio una cosa dell’altro mondo!». Poi andò avanti e mi precedette. Il cuore di quel mio compagno era pieno della emozione dell’annuncio più grande che sia mai riecheggiato in questo mondo.
Comunque, attraversando orecchi attenti e orecchi disattenti, cuori aderenti e cuori irritati “contro”, attraversando secoli di storia, questo messaggio è, obiettivamente, in sé, se lo ripetiamo e lo guardiamo, il messaggio più buono, più umano, più carico di promessa e di speranza, il messaggio più buono e più carico di speranza che l’uomo possa sentire. Possiamo immaginarci un’altra frase che esprima un messaggio più buono di questo, più carico di speranza di questo? No! Manfredini, il mio compagno, lo sentiva nel cuore, io me lo sono sentito nella mano che mi fermava il braccio, così, d’improvviso, sulla scala. «Pensare che Dio si è fatto uomo: è veramente una cosa dell’altro mondo!». E mentre lui scendeva le scale più veloce di prima, precedendomi, io gli ho gridato (“gridato” come si poteva in quel momento di silenzio): «È una cosa dell’altro mondo, in questo mondo!».” (Luigi Giussani, Come si diventa cristiani, Basilica di Sant’Antonio. Padova, 11 febbraio 1994).
E’ il Natale, è il Natale! Come ripeteva Nicola Cabasilas, mistico e teologo greco, solo un “amore da pazzi” (manikos eros) poteva immaginare un’impresa così folle: per amore dell’uomo, condividere in tutto (eccetto il peccato) la condizione dell’uomo, farsi fratello, amico di ognuno di noi.
Senza temere quello che avrebbe incontrato e le conseguenze della sua Incarnazione:
“Così cominciò la sua discesa nel mondo. Va’ e rimettilo in ordine, il Padre gli disse. Allora è venuto e, come uno straniero, s’insinuò nel formicaio dei mercati. Passò accanto alle baracche dove i prudenti e gli astuti offrivano le loro merci, vide le mani febbrili dei venditori rovistare tra tappeti e gioielli; udì le consorterie dei sapienti lodare le nuove invenzioni: modelli di stati e di società, ricette per vivere felici, macchine volanti verso l’assoluto, trabocchetti e immersioni verso il nulla beato. Passò accanto alle statue degli dei, noti ed ignoti, diede un’ occhiata nelle riserve dello spirito, dove balle e botti si ammucchiavano a torre... alzò il sipario di certe locande, dove l’assenzio del sapere segreto offre l’accesso ad inferni o paradisi artificiali. Salì sopra un monte, vide paesi, sentì ridere e piangere, notò in qualche alcova uomini e donne aggrovigliarsi furenti e nella stanza vicina gemere una partoriente; morti venivano portati fuori accanto a bambini che andavano a scuola. Venivano costruite città sulle ceneri di abitazioni precipitate, qui infuriava la guerra, là si stendeva sazia la pace; l’amore rideva di odio, e l’odio di amore crudele, fiori e marciume, vizio e innocenza crescevano disperatamente l’uno nell’ altra e mescolavano inestricabilmente il loro odore. Un grande immenso rumore confuso di mille voci usciva dal turbinio, polvere e fumo vorticavano insieme, e tutto sapeva dolcemente di luridume e di corruzione. Nessuno conosceva il nome del Padre.”
(H. U. Von Balthasar, Il cuore del mondo).
Come è apparso chiaro in questi giorni, al fatto di Gesù nato per noi si associa spesso un rifiuto, ora feroce ora subdolo: ora uno svuotamento del Natale dal suo interno, ora una cancellazione sistematica della Memoria (gli attacchi al Presepe, per toglierlo dagli scaffali del Supermarket, o per utilizzarlo come spunto per le proprie preoccupazioni politiche, vedi Rosa nel pugno), ora il solito malinteso multiculturalismo dove ogni identità, ogni appartenenza, ogni fede (soprattutto il cristianesimo) devono essere piallati da un laicismo livellatore.
“La Parola venne nel mondo. Venne nella sua proprietà, ma i suoi non l’hanno ricevuta. Brillò nell’oscurità, ma le tenebre se ne sono distolte. Così la rivelazione dell’amore dovette decidersi alla battaglia per la vita e la morte” (H. U. Von Balthasar, op. cit.). Il mistero di questo rifiuto, che attraversa anche noi, ci ripone davanti al Presepe: lì tutti gli sguardi, i gesti dei personaggi sono calamitati da quella Presenza, sono diretti al “cuore del mondo”. Il Presepe ci invita a fare di Cristo il centro affettivo della nostra vita, nella grande compagnia della Chiesa. E attorno al Presepe può rinascere un popolo che non dimentica, che fa Memoria e quindi rivive l’Avvenimento, come Maria che “serbava tutte queste cose nel suo cuore”, per farne esperienza nella vita di tutti i giorni. Buon Natale!