da: ilGiornale.it n. 41 del 16/10/2006
Eugenia Roccella
Pillola di lobby
Il direttore della Exelgyn, l'azienda che distribuisce la pillola abortiva Ru486, ha trionfalmente comunicato ieri, in un'intervista al Corriere della Sera, che chiederà la registrazione del farmaco anche in Italia. Ma perché questo dovrebbe costituire una notizia da prima pagina? Perché se un'azienda decide di avviare la normale procedura necessaria a commercializzare un prodotto, servono gli squilli di tromba? L'annuncio della Exelgyn non è nemmeno una novità: più volte, nell'inverno scorso, è stato detto e scritto che l'iter per l'immissione della pillola sul mercato italiano era stato avviato, ma alle parole non sono mai seguiti i fatti. Per mesi le indiscrezioni sui movimenti della Exelgyn si sono accavallate e inseguite, all'insegna del partiam partiamo: lo fa, lo sta per fare, l'ha già fatto, non l'ha fatto ma lo farà prestissimo. Alla fine, sulla questione è calato un velo di imbarazzato silenzio, rotto ieri per l'ennesima anticipazione, peraltro assai vaga: l'azienda «si prepara» a chiedere la registrazione, perché «il clima politico è cambiato». Eppure, anche quando il ministro della Salute era Umberto Veronesi, esplicitamente favorevole alla Ru486, la Exelgyn non ha ritenuto di muoversi, lasciando che i sostenitori dell'aborto chimico si arrangiassero come potevano. Ospedali, Consigli regionali e comitati etici si sono dati nell'ultimo anno un gran da fare per procurarsi la pillola abortiva con ogni mezzo. Si è partiti dalla sperimentazione ufficiale, come quella condotta da Silvio Viale all'ospedale Sant'Anna di Torino (oggi sospesa dalla giunta regionale di centrosinistra per irregolarità), passando poi all'importazione diretta da parte delle singole aziende ospedaliere, fino ad approdare ai metodi fai-da-te come l'uso del methotrexate (un farmaco registrato come antitumorale, ma che ha effetti abortivi) all'ospedale Buzzi di Milano. Tutto per rendere la vita facile a una ditta che non voleva prendersi la briga di sottoporre la pillola ai normali controlli dell'ente farmacologico italiano.Per la Ru486, però, questa è un'abitudine, anzi, una politica consolidata. Il primo Paese ad adottarla è stato la Francia, anche perché lo Stato francese deteneva il 36% della Roussel Uclaf, la società che ha brevettato la pillola. Da allora in poi, la strategia seguita dalle diverse aziende che l'hanno prodotta e distribuita è stata sempre quella di cercare l'appoggio dei governi, e di evitare di introdurla in Paesi dove ci fosse un'opinione pubblica troppo indipendente e una società civile attiva. Negli Usa, il carteggio tra l'ex presidente Bill Clinton e la Exelgyn, reso pubblico dall'associazione Judicial Watch dopo una causa durata cinque anni, svela i motivi dell'ostinata resistenza a commercializzare la pillola in America: troppe cause giudiziarie, troppa libertà di stampa, troppi rischi legali.Che facciamo, scrive la Exelgyn al presidente americano che insisteva per diffondere la pillola negli Usa, se per esempio nasce un bimbo malformato? L'amministrazione degli Stati Uniti sarebbe disposta a coprire i rischi? Benché dovesse sembrare evidente che un governo non può fornire una simile assicurazione a un'azienda privata, oltretutto straniera, ci furono febbrili consultazioni e scambi di messaggi tra membri dell'amministrazione Clinton ed esperti, per cercare di fornire alla Exelgyn un'adeguata copertura. Alla fine Clinton dovette rassegnarsi, ma riuscì ad ottenere che l'azienda francese gli regalasse il brevetto, mossa che la sollevava da ogni responsabilità legale.Anche dell'Italia, dove si sa che ci sono molti ginecologi obiettori e un'opinione pubblica divisa, i produttori della Ru486 diffidano. È chiaro che nel nostro Paese un'eventuale morte (la mortalità per aborto chimico è 10 volte più alta di quello chirurgico) non passerebbe sotto silenzio, come accade invece in Inghilterra, dove nessuna delle tre donne morte in seguito all'assunzione della Ru486 è stata degnata di una riga di cronaca. Alla Exelgyn non rimane che continuare nella sua paziente azione di lobby, che ha già dato i suoi frutti. Sponsorizzare il convegno tenuto a Roma nei giorni scorsi dalla Fiapac, l'associazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione, per esempio, è stato redditizio: sono venute a portare i saluti sia il ministro Bonino che Maura Cossutta, a nome del ministro della Salute Livia Turco. Inoltre il direttore della Exelgyn ha colto l'occasione per farsi ricevere dal capo della segreteria politica della Turco.La dichiarazione di ieri non è che un ballon d'essai lanciato nel campo italiano, per saggiare le reazioni. Solo se avrà garanzie politiche, se si mobiliteranno le Regioni, se la stampa sarà allineata, la Exelgyn registrerà il farmaco in Italia. Solo se riuscirà a far schierare un sufficiente numero di medici e politici a suo favore, a trasformarli in lobbysti inconsapevoli (o consapevoli?), l'azienda darà seguito ai suoi annunci.
Eugenia Roccella
Pillola di lobby
Il direttore della Exelgyn, l'azienda che distribuisce la pillola abortiva Ru486, ha trionfalmente comunicato ieri, in un'intervista al Corriere della Sera, che chiederà la registrazione del farmaco anche in Italia. Ma perché questo dovrebbe costituire una notizia da prima pagina? Perché se un'azienda decide di avviare la normale procedura necessaria a commercializzare un prodotto, servono gli squilli di tromba? L'annuncio della Exelgyn non è nemmeno una novità: più volte, nell'inverno scorso, è stato detto e scritto che l'iter per l'immissione della pillola sul mercato italiano era stato avviato, ma alle parole non sono mai seguiti i fatti. Per mesi le indiscrezioni sui movimenti della Exelgyn si sono accavallate e inseguite, all'insegna del partiam partiamo: lo fa, lo sta per fare, l'ha già fatto, non l'ha fatto ma lo farà prestissimo. Alla fine, sulla questione è calato un velo di imbarazzato silenzio, rotto ieri per l'ennesima anticipazione, peraltro assai vaga: l'azienda «si prepara» a chiedere la registrazione, perché «il clima politico è cambiato». Eppure, anche quando il ministro della Salute era Umberto Veronesi, esplicitamente favorevole alla Ru486, la Exelgyn non ha ritenuto di muoversi, lasciando che i sostenitori dell'aborto chimico si arrangiassero come potevano. Ospedali, Consigli regionali e comitati etici si sono dati nell'ultimo anno un gran da fare per procurarsi la pillola abortiva con ogni mezzo. Si è partiti dalla sperimentazione ufficiale, come quella condotta da Silvio Viale all'ospedale Sant'Anna di Torino (oggi sospesa dalla giunta regionale di centrosinistra per irregolarità), passando poi all'importazione diretta da parte delle singole aziende ospedaliere, fino ad approdare ai metodi fai-da-te come l'uso del methotrexate (un farmaco registrato come antitumorale, ma che ha effetti abortivi) all'ospedale Buzzi di Milano. Tutto per rendere la vita facile a una ditta che non voleva prendersi la briga di sottoporre la pillola ai normali controlli dell'ente farmacologico italiano.Per la Ru486, però, questa è un'abitudine, anzi, una politica consolidata. Il primo Paese ad adottarla è stato la Francia, anche perché lo Stato francese deteneva il 36% della Roussel Uclaf, la società che ha brevettato la pillola. Da allora in poi, la strategia seguita dalle diverse aziende che l'hanno prodotta e distribuita è stata sempre quella di cercare l'appoggio dei governi, e di evitare di introdurla in Paesi dove ci fosse un'opinione pubblica troppo indipendente e una società civile attiva. Negli Usa, il carteggio tra l'ex presidente Bill Clinton e la Exelgyn, reso pubblico dall'associazione Judicial Watch dopo una causa durata cinque anni, svela i motivi dell'ostinata resistenza a commercializzare la pillola in America: troppe cause giudiziarie, troppa libertà di stampa, troppi rischi legali.Che facciamo, scrive la Exelgyn al presidente americano che insisteva per diffondere la pillola negli Usa, se per esempio nasce un bimbo malformato? L'amministrazione degli Stati Uniti sarebbe disposta a coprire i rischi? Benché dovesse sembrare evidente che un governo non può fornire una simile assicurazione a un'azienda privata, oltretutto straniera, ci furono febbrili consultazioni e scambi di messaggi tra membri dell'amministrazione Clinton ed esperti, per cercare di fornire alla Exelgyn un'adeguata copertura. Alla fine Clinton dovette rassegnarsi, ma riuscì ad ottenere che l'azienda francese gli regalasse il brevetto, mossa che la sollevava da ogni responsabilità legale.Anche dell'Italia, dove si sa che ci sono molti ginecologi obiettori e un'opinione pubblica divisa, i produttori della Ru486 diffidano. È chiaro che nel nostro Paese un'eventuale morte (la mortalità per aborto chimico è 10 volte più alta di quello chirurgico) non passerebbe sotto silenzio, come accade invece in Inghilterra, dove nessuna delle tre donne morte in seguito all'assunzione della Ru486 è stata degnata di una riga di cronaca. Alla Exelgyn non rimane che continuare nella sua paziente azione di lobby, che ha già dato i suoi frutti. Sponsorizzare il convegno tenuto a Roma nei giorni scorsi dalla Fiapac, l'associazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione, per esempio, è stato redditizio: sono venute a portare i saluti sia il ministro Bonino che Maura Cossutta, a nome del ministro della Salute Livia Turco. Inoltre il direttore della Exelgyn ha colto l'occasione per farsi ricevere dal capo della segreteria politica della Turco.La dichiarazione di ieri non è che un ballon d'essai lanciato nel campo italiano, per saggiare le reazioni. Solo se avrà garanzie politiche, se si mobiliteranno le Regioni, se la stampa sarà allineata, la Exelgyn registrerà il farmaco in Italia. Solo se riuscirà a far schierare un sufficiente numero di medici e politici a suo favore, a trasformarli in lobbysti inconsapevoli (o consapevoli?), l'azienda darà seguito ai suoi annunci.