Dal FOGLIO del 9 agosto 2006, un articolo di Bernard Lewis ripreso da MILANO FINANZA e sal Wall Street Journal.
Ecco il testo:
Durante la Guerra fredda, entrambi gli schieramenti possedevano armi di distruzione di massa, ma nessuno dei due le ha usate, perché trattenuti da ciò che si definiva il Mad (“mutual assured destruction”), la sicurezza della reciproca distruzione. La stessa cosa ha senza dubbio impedito il loro utilizzo nel conflitto tra India e Pakistan. Oggi sembra incombere un nuovo scontro tra un Iran dotato di armi nucleari e i suoi grandi nemici, definiti dal defunto ayatollah Khomeini il “Grande Satana” e il “Piccolo Satana”, ossia gli Stati Uniti e Israele. Contro gli Stati Uniti, un attacco nucleare potrebbe essere compiuto con un’azione terroristica, metodo che ha il vantaggio di mantenere nascosta l’identità del mandante. Contro Israele, l’obiettivo è sufficientemente piccolo e vicino da consentire il tentativo di una distruzione totale con un bombardamento diretto. Appare sempre più probabile che gli iraniani hanno o avranno molto presto a disposizione armi nucleari, grazie ai loro programmi di ricerca iniziati circa quindici anni fa, all’aiuto di alcuni vicini compiacenti e a quello dei dittatori della Corea del nord. Il linguaggio impiegato dal presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, sembra dimostrare la realtà e l’imminenza di questa minaccia. Il timore della reciproca distruzione riuscirà a trattenere l’Iran dall’usare le proprie armi nucleari contro gli Stati Uniti o contro Israele? C’è una differenza sostanziale tra la Repubblica islamica dell’Iran e altri paesi che possiedono armi nucleari: la concezione apocalittica che caratterizza la visione del mondo degli attuali governanti dell’Iran. Questa concezione, espressa in discorsi, articoli e persino manuali scolastici, influenza le posizioni e le politiche di Ahmadinejad e dei suoi seguaci. Già in passato è apparso chiaro come i terroristi che proclamano di agire in nome dell’islam non si facciano alcuno scrupolo a massacrare altri musulmani. Un esempio illuminante è offerto dall’attentato contro le ambasciate americane in Africa orientale nel 1998, nel quale sono morti pochi diplomatici americani ma un elevato numero di passanti innocenti, molti dei quali musulmani. Nei numerosi attentati terroristici compiuti negli ultimi 15 anni sono morti moltissimi musulmani. La frase “Allah riconoscerà i suoi” è generalmente usata per spiegare questo apparentemente crudele atteggiamento. Significa che, mentre gli infedeli ossia i non musulmani) finiranno giustamente all’inferno, i musulmani saranno spediti direttamente in paradiso. La ricompensa senza la fatica del martirio Secondo questa concezione, gli attentatori stanno in realtà facendo un favore alle loro vittime musulmane, facendo prendere loro una scorciatoia per il paradiso e le sue delizie: la ricompensa senza la fatica del martirio. I manuali scolastici iraniani insegnano ai giovani studenti a essere pronti per uno scontro finale globale contro un malvagio nemico, gli Stati Uniti, e di prepararsi ai privilegi del martirio. Un attacco diretto contro l’America, sebbene possibile, è meno probabile nell’immediato futuro. Israele è un obiettivo più vicino e più facile, e Ahmadinejad ha già dimostrato di vederla proprio in questo modo. Gli osservatori occidentali penserebbero immediatamente a due possibili forme di deterrenza. La prima è il fatto che un attacco che spazzasse via Israele distruggerebbe anche i palestinesi. La seconda è che un tale attacco scatenerebbe una devastante rappresaglia da parte di Israele, poiché si può ritenere certo che gli israeliani abbiano già preso tutte le misure necessarie per poter contrattaccare anche nel caso di un olocausto nucleare in Israele. La prima di queste due forme di deterrenza potrebbe avere effetto con i palestinesi, ma non con i loro fanatici sostenitori del governo iraniano. La seconda, ossia la minaccia di una rappresaglia diretta contro l’Iran, è neutralizzata dall’ideologia del suicidio e del martirio che domina oggi in alcune parti del mondo islamico: un fenomeno che non ha paralleli nelle altre religioni e nemmeno nel passato islamico. Oggi questa ideologia è diventata ancora più forte perché si è legata a una visione apocalittica. Nella religione islamica, come anche nel giudaismo e nel cristianesimo, ci sono alcune credenze che riguardano il conflitto cosmico che si aprirà alla fine dei tempi: Gog e Magog, l’anticristo, Armageddon (per musulmani sciiti, il ritorno dell’imam nascosto); questo conflitto si concluderà con la vittoria delle forze del bene sulle forze del male. Ahmadinejad e i suoi seguaci sono convinti che il momento del conflitto finale sia arrivato, anzi che lo stesso conflitto sia già iniziato. Forse possiamo persino sapere la data, suggerita da numerosi riferimenti fatti dal presidente iraniano a proposito della risposta finale che darà il 22 agosto sullo sviluppo del programma nucleare iraniano. Quale significato ha la data del 22 agosto? Quest’anno, il 22 agosto corrisponde nel calendario islamico al ventisettesimo giorno del mese di Rajab dell’anno 1427. Questa, secondo la tradizione, è la notte in cui i musulmani commemorano il volo notturno del profeta Maometto sulle ali del cavallo Buraq, prima alla “moschea più lontana” (normalmente identificata con Gerusalemme) e poi al paradiso (cfr. Corano XVII, 1). Questa potrebbe essere considerata la data più appropriata per la fine apocalittica di Israele e se necessario del mondo intero. Non è affatto certo che il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, abbia in mente di scatenare un simile cataclisma proprio il 22 agosto. Ma sarebbe saggio tenere presente questa possibilità. Una frase dell’ayatollah Khomeini, citata sui manuali delle scuole superiori iraniane, è rivelatrice: “Annuncio a tutto il mondo che se i divoratori del mondo (cioè le potenze infedeli, nda) intendono ostacolare la nostra religione, noi ci schiereremo contro tutto il mondo e non ci fermeremo fino a quando non l’avremo distrutto. O diventiamo tutti liberi, oppure procederemo verso la più grande libertà che è offerta dal martirio. In entrambi i casi, la vittoria e il successo sono assicurati”. In un simile contesto, il deterrente che ha funzionato così bene durante la guerra fredda, quello della distruzione reciproca, non servirebbe a niente. Alla fine dei tempi, ci sarà in ogni caso la distruzione generale. Ciò che contà sarà la destinazione: l’inferno per gli infedeli e il paradiso per i credenti. Per chi ha una simile visione del mondo, la sicurezza della reciproca distruzione non è un deterrente. Anzi, è uno stimolo. Come si può affrontare un tale nemico, con una simile concezione della vita e della morte? Alcune precauzioni immediate sono ovviamente possibili e necessarie. Nel lungo termine, sembrerebbe che la migliore e forse la unica speranza rimasta sia quella di fare leva su tutti i musulmani, iraniani, arabi e di altri paesi che non condividono questa visione apocalittica; che piuttosto si sentono minacciati, almeno e probabilmente, ancora più di noi stessi. Ce ne devono essere molti nelle terre dell’islam, anzi forse sono la maggioranza. Per loro è giunto il momento di salvare il proprio paese, la propria società e la propria religione da questa follia. Bernard Lewis © Wall Street Journal per gentile concessione di Milano Finanza
Di seguito, un agenzia Ansa del 25 luglio 2006, su una possibile via di soluzione del terribile problema rappresentato dalla minaccia iraniana:
ANSA- Roma, 25 luglio- Un cambiamento democratico in Iran rappresenterebbe un passaggio importante per la soluzione della crisi Mediorientale e, allo stesso tempo, scongiurerebbe il rischio di un rovinoso confronto militare tra le potenze occidentali e il regime di Teheran. E' quanto emerge dalla conferenza "Iran: un anno dopo l'insediamento di Ahmadinejad, il programma atomico, la crisi regionale", alla quale hanno partecipato oggi parlamentari italiani dissidenti in esilio del Consiglio Nazionale per la Resistenza Iraniana( CNRI ).
Ecco il testo:
Durante la Guerra fredda, entrambi gli schieramenti possedevano armi di distruzione di massa, ma nessuno dei due le ha usate, perché trattenuti da ciò che si definiva il Mad (“mutual assured destruction”), la sicurezza della reciproca distruzione. La stessa cosa ha senza dubbio impedito il loro utilizzo nel conflitto tra India e Pakistan. Oggi sembra incombere un nuovo scontro tra un Iran dotato di armi nucleari e i suoi grandi nemici, definiti dal defunto ayatollah Khomeini il “Grande Satana” e il “Piccolo Satana”, ossia gli Stati Uniti e Israele. Contro gli Stati Uniti, un attacco nucleare potrebbe essere compiuto con un’azione terroristica, metodo che ha il vantaggio di mantenere nascosta l’identità del mandante. Contro Israele, l’obiettivo è sufficientemente piccolo e vicino da consentire il tentativo di una distruzione totale con un bombardamento diretto. Appare sempre più probabile che gli iraniani hanno o avranno molto presto a disposizione armi nucleari, grazie ai loro programmi di ricerca iniziati circa quindici anni fa, all’aiuto di alcuni vicini compiacenti e a quello dei dittatori della Corea del nord. Il linguaggio impiegato dal presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, sembra dimostrare la realtà e l’imminenza di questa minaccia. Il timore della reciproca distruzione riuscirà a trattenere l’Iran dall’usare le proprie armi nucleari contro gli Stati Uniti o contro Israele? C’è una differenza sostanziale tra la Repubblica islamica dell’Iran e altri paesi che possiedono armi nucleari: la concezione apocalittica che caratterizza la visione del mondo degli attuali governanti dell’Iran. Questa concezione, espressa in discorsi, articoli e persino manuali scolastici, influenza le posizioni e le politiche di Ahmadinejad e dei suoi seguaci. Già in passato è apparso chiaro come i terroristi che proclamano di agire in nome dell’islam non si facciano alcuno scrupolo a massacrare altri musulmani. Un esempio illuminante è offerto dall’attentato contro le ambasciate americane in Africa orientale nel 1998, nel quale sono morti pochi diplomatici americani ma un elevato numero di passanti innocenti, molti dei quali musulmani. Nei numerosi attentati terroristici compiuti negli ultimi 15 anni sono morti moltissimi musulmani. La frase “Allah riconoscerà i suoi” è generalmente usata per spiegare questo apparentemente crudele atteggiamento. Significa che, mentre gli infedeli ossia i non musulmani) finiranno giustamente all’inferno, i musulmani saranno spediti direttamente in paradiso. La ricompensa senza la fatica del martirio Secondo questa concezione, gli attentatori stanno in realtà facendo un favore alle loro vittime musulmane, facendo prendere loro una scorciatoia per il paradiso e le sue delizie: la ricompensa senza la fatica del martirio. I manuali scolastici iraniani insegnano ai giovani studenti a essere pronti per uno scontro finale globale contro un malvagio nemico, gli Stati Uniti, e di prepararsi ai privilegi del martirio. Un attacco diretto contro l’America, sebbene possibile, è meno probabile nell’immediato futuro. Israele è un obiettivo più vicino e più facile, e Ahmadinejad ha già dimostrato di vederla proprio in questo modo. Gli osservatori occidentali penserebbero immediatamente a due possibili forme di deterrenza. La prima è il fatto che un attacco che spazzasse via Israele distruggerebbe anche i palestinesi. La seconda è che un tale attacco scatenerebbe una devastante rappresaglia da parte di Israele, poiché si può ritenere certo che gli israeliani abbiano già preso tutte le misure necessarie per poter contrattaccare anche nel caso di un olocausto nucleare in Israele. La prima di queste due forme di deterrenza potrebbe avere effetto con i palestinesi, ma non con i loro fanatici sostenitori del governo iraniano. La seconda, ossia la minaccia di una rappresaglia diretta contro l’Iran, è neutralizzata dall’ideologia del suicidio e del martirio che domina oggi in alcune parti del mondo islamico: un fenomeno che non ha paralleli nelle altre religioni e nemmeno nel passato islamico. Oggi questa ideologia è diventata ancora più forte perché si è legata a una visione apocalittica. Nella religione islamica, come anche nel giudaismo e nel cristianesimo, ci sono alcune credenze che riguardano il conflitto cosmico che si aprirà alla fine dei tempi: Gog e Magog, l’anticristo, Armageddon (per musulmani sciiti, il ritorno dell’imam nascosto); questo conflitto si concluderà con la vittoria delle forze del bene sulle forze del male. Ahmadinejad e i suoi seguaci sono convinti che il momento del conflitto finale sia arrivato, anzi che lo stesso conflitto sia già iniziato. Forse possiamo persino sapere la data, suggerita da numerosi riferimenti fatti dal presidente iraniano a proposito della risposta finale che darà il 22 agosto sullo sviluppo del programma nucleare iraniano. Quale significato ha la data del 22 agosto? Quest’anno, il 22 agosto corrisponde nel calendario islamico al ventisettesimo giorno del mese di Rajab dell’anno 1427. Questa, secondo la tradizione, è la notte in cui i musulmani commemorano il volo notturno del profeta Maometto sulle ali del cavallo Buraq, prima alla “moschea più lontana” (normalmente identificata con Gerusalemme) e poi al paradiso (cfr. Corano XVII, 1). Questa potrebbe essere considerata la data più appropriata per la fine apocalittica di Israele e se necessario del mondo intero. Non è affatto certo che il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, abbia in mente di scatenare un simile cataclisma proprio il 22 agosto. Ma sarebbe saggio tenere presente questa possibilità. Una frase dell’ayatollah Khomeini, citata sui manuali delle scuole superiori iraniane, è rivelatrice: “Annuncio a tutto il mondo che se i divoratori del mondo (cioè le potenze infedeli, nda) intendono ostacolare la nostra religione, noi ci schiereremo contro tutto il mondo e non ci fermeremo fino a quando non l’avremo distrutto. O diventiamo tutti liberi, oppure procederemo verso la più grande libertà che è offerta dal martirio. In entrambi i casi, la vittoria e il successo sono assicurati”. In un simile contesto, il deterrente che ha funzionato così bene durante la guerra fredda, quello della distruzione reciproca, non servirebbe a niente. Alla fine dei tempi, ci sarà in ogni caso la distruzione generale. Ciò che contà sarà la destinazione: l’inferno per gli infedeli e il paradiso per i credenti. Per chi ha una simile visione del mondo, la sicurezza della reciproca distruzione non è un deterrente. Anzi, è uno stimolo. Come si può affrontare un tale nemico, con una simile concezione della vita e della morte? Alcune precauzioni immediate sono ovviamente possibili e necessarie. Nel lungo termine, sembrerebbe che la migliore e forse la unica speranza rimasta sia quella di fare leva su tutti i musulmani, iraniani, arabi e di altri paesi che non condividono questa visione apocalittica; che piuttosto si sentono minacciati, almeno e probabilmente, ancora più di noi stessi. Ce ne devono essere molti nelle terre dell’islam, anzi forse sono la maggioranza. Per loro è giunto il momento di salvare il proprio paese, la propria società e la propria religione da questa follia. Bernard Lewis © Wall Street Journal per gentile concessione di Milano Finanza
Di seguito, un agenzia Ansa del 25 luglio 2006, su una possibile via di soluzione del terribile problema rappresentato dalla minaccia iraniana:
ANSA- Roma, 25 luglio- Un cambiamento democratico in Iran rappresenterebbe un passaggio importante per la soluzione della crisi Mediorientale e, allo stesso tempo, scongiurerebbe il rischio di un rovinoso confronto militare tra le potenze occidentali e il regime di Teheran. E' quanto emerge dalla conferenza "Iran: un anno dopo l'insediamento di Ahmadinejad, il programma atomico, la crisi regionale", alla quale hanno partecipato oggi parlamentari italiani dissidenti in esilio del Consiglio Nazionale per la Resistenza Iraniana( CNRI ).