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L'Arcivescovo Lajolo spiega la distinzione tra religione e politica allo Stato musulmano più grande del mondo

Il quotidiano indonesiano "Kompas" ha pubblicato il 16 aprile scorso un'intervista all'Arcivescovo Giovanni Lajolo, Segretario per i Rapporti con gli Stati, nella quale il Presule parla dell'unicità dello Stato della Città del Vaticano, dell'attività diplomatica della Santa Sede, della separazione dei poteri della Chiesa e dello Stato e del dialogo interreligioso. Nell'intervista l'Arcivescovo precisa che lo Stato della Città del Vaticano, è un vero stato, "ma di minuscola realtà politica, avendo solo la funzione di garantire l'indipendenza del Papa come suprema Autorità della Chiesa Cattolica da qualsiasi potere civile", mentre la Santa Sede, "cioè il Papa e la Curia Romana, come suprema Autorità della Chiesa Cattolica, che viene anche chiamata (...) impropriamente, Vaticano, perchè ha la sua sede nello Stato della Città del Vaticano; (...) non è un organo di governo civile e quindi con funzioni politiche. Il problema quindi del coinvolgimento o della sovrapposizione delle due funzioni, quella politica dello Stato e quella religiosa della Chiesa, non si pone". Per cui non bisogna confondere lo Stato della Città del Vaticano ",che ha relazioni limitate alle sue modeste strutture e che si rivolgono sopratutto all'Italia", e "la Santa Sede, che ha invece una vasta rete di ambasciate (si chiamano tecnicamente Nunziature Apostoliche)". "Le Nunziature" - spiega il Segretario per i Rapporti con gli Stati - "non seguono, come le altre Ambasciate, questioni di politica, di difesa, di commercio, ecc., ma le questioni riguardanti la libertà della Chiesa e i diritti umani. Per lo più la Santa Sede interviene ovunque per garantire lo status giuridico della Chiesa e, in alcuni paesi, in difesa dei fedeli cattolici oppressi o comunque vittime di pressioni o di discriminazioni, e lo fa invocando i diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e dall'International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR), o anche quelli sanciti nella Costituzione dei vari Stati. (...) I criteri per i suoi interventi sono vari, a seconda delle situazioni, e sono necessariamente ispirati dalla volontà di aiutare nella maniera più efficace e quindi con la riservatezza ed anche con la prudenza necessarie per evitare contraccolpi negativi". Rispetto alla separazione dei poteri della Chiesa e dello Stato, l'Arcivescovo afferma: "La Chiesa non pretende però in alcun modo di imporre alcuna legge civile, se non sono le stesse forze politiche a darsela. Vale appunto il principio fondamentale della distinzione della sfera politica da quella religiosa e della ferma tutela della libertà religiosa, per cui lo Stato come non si inserisce nell'attività della Chiesa, così nemmeno prende ordini da essa. La Chiesa per altro - cioè in pratica i Vescovi dei paesi interessati - cercano di illuminare i cattolici e l'opinione pubblica del paese, illustrando con pubbliche dichiarazioni la posizione cattolica su questioni morali poste dalla legislazione o dall'azione politica, sulla base anzitutto di argomentazioni razionali, accessibili anche a chi non ha fede". "A livello universale la Santa Sede interviene sui grandi problemi morali posti dalla politica con documenti di diverso genere, come le lettere encicliche e le esortazioni apostoliche del Papa o le istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede. I criteri per giudicare se sia opportuno intervenire, sono diversi; la Chiesa non può comunque tacere quando è posta in causa la dignità o i diritti fondamentali dell'uomo, o la libertà religiosa". Infine relativamente al tema del dialogo interreligioso il Presule afferma che: "Benedetto XVI continuerà (...) l'impegno del dialogo interreligioso, secondo le direttive date dal Concilio Vaticano II e sulle orme dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II". Affermando che: "È ovvio che un conflitto delle culture o peggio delle religioni potrebbe dividere i popoli ancor più di quanto non lo siano ora", l'Arcivescovo Lajolo sottolinea che: "il dialogo interreligioso mira a conoscere meglio la posizione di fede dell'interlocutore e a far conoscere meglio la propria ed anche a rafforzare vincoli di stima personale vicendevoli" e "il dialogo interreligioso non intende rendere coloro che vi partecipano meno fedeli alle proprie profonde convinzioni religiose, ma aprire sempre di più le menti e i cuori alla volontà di Dio".

CITTA' DEL VATICANO, 21 APR. 2006

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